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Sandracca nella Torre di Nonza del Guerrazzi. Abbiamo visto con quanta lode il Goldoni dedicasse nel ’57 a Napolion d’Heraut «Sergente Generale al servizio della Serenissima Repubblica di Venezia» la Donna di testa debole (v. vol. X di questa ed.); si veda anche nella lettera a Franc. Albergati Vezza, che precede alla commedia presente, com’egli sappia rendere onore al soldato di ventura, quando compia onoratamente il proprio dovere.

È vero, e l’autore lo dichiara, che gli amori di Florida e Faustino somigliano molto a quelli dei due protagonisti dell’Amante militare, ma le fila della commedia si sono qui allargate come lo scenario. Naturalmente di ciò si duole l’azione, che qua e là si disperde negli episodi soverchi: bisogna ricorrere al titolo per ritrovare l’unità. Per esempio, che fa qui Lisetta? Questa contadinella goldoniana ci ha già scoperto la sua malizia nel Feudatario e nella Villeggiatura. E anche la vivandiera che fa? Noi abbiamo conosciuto Orsolina nel teatro veneziano, sott’altri panni. Questo presso i lettori non nuoce; ma forse nocque presso gli spettatori del teatro di S. Luca.

Per le accennate ragioni, oppure per la difficoltà della scena, nessun capocomico, ch’io sappia, osò ripetere sul teatro pubblico la recita della Guerra nel periodo del fervore goldoniano, cioè nella prima metà dell’Ottocento, in cui si esumarono molte opere del grande veneziano a ragione o a torto dimenticate. La vediamo invece nel repertorio della compagnia Roffi a Firenze e altrove, circa il 1780 (Rasi, I comici italiani, Firenze, vol. I, 1899, p. 703). Oggi poi il tentativo sarebbe vano e folle.

Basta che a questa commedia sia riconosciuta l’importanza storica, basta che il critico vi ritrovi qualche nuova impronta del genio di Goldoni. Ciò fece, con merito non piccolo, G. Brognoligo il quale per primo, nel 1902 (in un saggio pubblicato nel fasc. 4 della Rivista d’Italia e intitolato Il G. e la guerra: rist. poi a Napoli, Nel teatro di C. G., 1907), la sottopose ad attento e acuto esame, e l’additò agli studiosi. Dopo di lui fu lodata da A. Lazzari (C. G. in Romagna, Venezia, 1908, pp. 66-67) e, in parte, da R. Simoni («Si prenda una delle commedie minori di G.: La Guerra; vi si troveranno gli elementi con i quali un commediografo moderno potrebbe far di grandi scene, complicate, tormentose, in apparenza insolubili. Goldoni se ne serve con maggior umiltà, vorrei dire con maggior misura....» La Vedetta I, n. 11, 25 febb. 1907, p. 285). Anche il recentissimo biografo americano di Goldoni, H. C. Chatfield-Taylor (Goldoni, New York, 1913, pp. 385-8) scorge nella Guerra più severità, più naturalezza che nell’Amante militare; e non tanto gli piace il romanzesco intreccio, quanto la pittura della vita dei soldati.

Invece Raff. Nocchi nel 1856 disse che l’Amante milit. e l’Armistizio (sic) rimasero «inferiori al soggetto» (Commedie scelte di C. G., Firenze, Le Monnier, p. XXV). IL Maddalena nel 1899 non trovò nella Guerra che «abuso di rettorica militare»; la chiamò una «specie di salsa buona per tutti gli arrosti »; e la giudicò «opera debole quanto l’Am. mil.» (Figurine gold.: Capitan Fracassa, Zara, 1899, p. 4). A R. Schimidbauer, nel 1906, i soldati parvero convenzionali e privi d’ogni impronta individuale. Egli credette che Goldoni volesse proprio fare una satira sull’esempio di S. Rosa, e restò deluso (acuta soltanto la satira del commissario Polidoro: Das Komische bei G., München, pp. 143-4). Per Lod. Mathar, tolto il quadro della vita militare,