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Se moro, ci vedremo all’altro mondo. - B. Oimè, voi mi lasciate? - R. Di che vi lamentate? - B. Ah che m’avete - Promesso ognor d’amarmi, - D’esser fedele, e non abbandonarmi. - R. Ebben, non ho adempito - A quanto vi ho promesso? - Fin che vi stetti appresso - Vi ho serbato l’amor, la fede mia; - Ora vuole il dover ch’io vada via». Con un po’ più di civiltà don Faustino dice le medesime cose a donna Florida.

Credo pure opportuno di richiamare alla memoria del lettore le ultime righe che chiudono la prefazione dell’Amante militare, pubblicata nell’ed. Paperini nel principio dei 1754: «Ho cercato di rimarcare, che siccome l’onore è quello che arma il fianco alle persone ben nate, così tutto devono a questo sagrificare. Che amano alcuni per bizzarria, alcuni per passion vera, ma tutti egualmente al tocco del tamburo si scordano d’ogni affetto, lasciano qualunque attacco, e corrono incontro ai pericoli per la bella immagine della Gloria». Prefazione soppressa nell’ed. Pasquali, nel 1768, e sostituita dalla seguente avvertenza che già conosciamo: «Questa commedia rassomiglia moltissimo a quella intitolata la Guerra. Il fondo è quasi lo stesso, ma la condotta è diversa. Quantunque la Guerra in quest’edizione preceda l’Amante militare, questa però è nata dieci anni prima dell’altra, e si può dire esser questa l’originale e l’altra la copia.... Non è mio costume tampoco di copiar me medesimo, ma questa volta ho dovuto farlo, e ne prevengo la critica, confessandolo pubblicamente. Spero però che il Lettore sarà contento d’aver due Commedie su lo stesso argomento, diversamente immaginate e condotte, l’una semplice, cioè la presente, e l’altra macchinosa, critica ed involuta. L’Amante militare ha fatto più piacere al Pubblico, non so se per il merito di essere stata la prima, o per quello della semplicità, ch’è l’anima della vera commedia. La Guerra non ha piaciuto; ma siccome aveva ella bisogno di macchine e di apparato sontuoso, questa sontuosità mancata, la Commedia ne ha risentito del pregiudizio; onde mi confermo sempre più nella massima, che le commedie a spettacolo non sono vere commedie; e s’io ne ho fatto di tal genere, l’ho fatto per compiacenza» (vedasi vol. VII della presente ed., pp. 257-8).

Credo che l’autore non avesse torto di attribuire l’insuccesso della Guerra alle macchinose operazioni militari (più tardi «levate» in parte dalla commedia, in parte «moderate»: p. 370) le quali ritardavano l’azione e raffreddarono il pubblico. Non si presti dunque fede alle Memorie francesi, che al solito sbagliano a dirci l’origine, la data e l’esito della presente composizione. Che la Guerra fosse rappresentata «il carnovale dell’anno 1760» come si legge nella intestazione dell’ed. Pasquali, ci vien ora confermato dall’elenco delle recite che esiste nell’archivio del teatro Goldoni o di S. Luca.

In quell’anno il commediografo, «per compiacere» altrui, scriveva in difesa della compagnia di Gesù un poemetto in ottava rima intitolato il Burchiello di Padova, quel burchiello che allo stesso autore quattro anni prima aveva ispirato un’altra serie di stanze più famose, in volgare veneziano (v. Componimenti diversi, II, Ven. Pasquali, 1764 e Spinelli, Bibl.ia goldon., Milano 1884, p. 219). Anche nel burchiello che da Padova trasportava i viaggiatori a Venezia, si parlava con calore della guerra in Germania; e il poeta così racconta:

               ...Io vicin mi trovai di due soldati.
               Ricchi più di valor che di denari.