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NOTA STORICA

La terribile guerra dei Sette anni che non turbò, per fortuna, la quiete del nostro paese, commosse tuttavia anche in Italia, quasi indizio di nuovi tempi e di oscuri avvenimenti che si preparavano, gli animi delle popolazioni; e perfino le donne dell’infima plebe e i fanciulli parteggiavano chi per la formosa Imperatrice e chi per l’eroico Federico. Noi sorridiamo oggi leggendo nei Notatorj inediti del Gradenigo che un diverbio sulla battaglia di Kollin nel 1757, in una bottega di caffè a Venezia, finì con un processo penale (v. in data 7 luglio); che a Verona l’anno stesso «non pochi» cittadini «invasati» eransi divisi per le vicende della guerra in due contrari partiti, e che alcuni fanciulli «correndo per la Città vennero alle mani, poi si gettarono sassi promiscuamente, ma slanciata una pietra, questa colpì la testa di colui che rappresentava Sua Maestà Prussiana, e in pochi momenti lo stese morto sul suolo» (18 luglio); che a Venezia ancora, nel ’58, due donne a Castello bisticciandosi per cagione delle «potenze belligeranti» si accapigliarono (14 maggio e 1 agosto); che nel ’59 un prete e un maestro di musica «dialogando per la strada sopra le correnti e promiscue asprezze militari... passarono tant’oltre, che venuti alle mani con spropositati modi, tanto si percossero, e per stanchezza caduti sul suolo, si morsicarono a guisa di cani» (25 luglio).

Al Goldoni doveva nascere facilmente la tentazione di scrivere un altra commedia d’argomento militare (dopo l’Amante militare 1751 e l’Impostore 1754) e l’intitolò audacemente la Guerra (vedasi prefaz.): ma con la memoria risalì agli spettacoli dell’assedio e dell’armistizio a cui aveva egli stesso assistito nel 1733 a Pizzighettone, e alla vita del campo che egli aveva considerato nel ’44 a Rimini, benchè si guardasse di dire «di qual nazione fossero i combattenti» (v. scena ult.) e come si chiamasse l’anonima fortezza della commedia «temendo l’indignazione degli appassionati geniali» (v. pref.). Per prudenza si astenne sempre il dottor veneziano nel suo teatro dagli accenni diretti agli avvenimenti del tempo.

Non era già nuova la vista dei soldati e delle armi sui teatri di Venezia. Nel novembre del 1755 Gasparo Gozzi aveva osato rappresentare sull’ ampio palcoscenico di S. Gio. Grisostomo il combattimento navale dei Veneziani, infiammati dal vecchio Dandolo, sotto le mura di Bisanzio (Isaccio liberato); più di recente l’abate Chiari, nell’anno comico 58-59, a Sant’Angelo, fece cozzare in grande battaglia i Goti e i Mori presso Cordova (l’Amor di patria) e gli eserciti del barbaro Kouli-kan sulle colline di «Ispaham» (K. re di Persia e la Morte di K.); e di «strumenti militari» avevano risonato nel prossimo autunno a S. Luca i padiglioni di Alessandro e di Dario nella tragicommedia del Goldoni stesso (Gli Amori di Alessandro Magno). Ma in quelle bizzarre composizioni una parte soverchia erasi conceduta alla fantasia, per non dire alla stravaganza.