Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1913, XVII.djvu/44

36 ATTO PRIMO

SCENA X.

Fulgenzio e Ridolfo.

Ridolfo. Amico, a rivederci.

Fulgenzio. Andate via?

Ridolfo. Volete ch’io resti?

Fulgenzio. No, no, se vi preme, andate pure.

Ridolfo. Sì, vado. Conosco benissimo, che il restar solo non vi dispiace. Vi compatisco, ma permettetemi che qualche cosa vi dica per amicizia. Se conoscete che la persona che amate meriti l’amor vostro, disponete l’animo a sofferir qualche cosa. Tutti in questo mondo ci dobbiamo compatire l’un l’altro, e specialmente la donna merita di essere un poco più compatita. Se poi vi sembra aver giusto motivo di dolervi di lei, pensateci prima di risolvere, ma quando avete pensato, ma quando avete risolto1, non fate che la ragion vi abbandoni, e che l’affetto vi acciechi, vi trasporti, e vi avvilisca a tal segno. (parte)

SCENA XI.

Fulgenzio, poi Eugenia.

Fulgenzio. Dice bene l’amico, dice benissimo. Dalle donne qualche cosa convien soffrire, quando si sa specialmente che una donna vuol bene, non serve il sofisticare, non conviene pesar le parole colla bilancia dell’oro, e guardare i moscherini col microscopio per ingrandirli. Son troppo caldo, lo conosco da me; ma in avvenire voglio assolutamente correggermi, vo’ moderarmi. Già so che mi vuol bene. Se vuol dire, lasciarla dire. Eccola. Voglia il cielo ch’ella sia di buon umore. Mi pare ilare in volto. Ma qualche volta sa fingere. Non vorrei che dissimulasse. Orsù, non principiamo a sofisticare.

Eugenia. Serva umilissima, signor Fulgenzio. (affettando allegria)

Fulgenzio. Quest’umilissima si poteva lasciar nella penna.

  1. Zatta: risoluto.