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406 | ATTO SECONDO |
SCENA VIII.
Don Polidoro e detti.
Polidoro. Signor alfiere, l’ha saputa la novità?
Faustino. Si è forse dichiarata la pace?
Polidoro. Che pace? che pace? Guerra, guerra, e vorrei io viver tanto, quanto durerà questa guerra.
Florida. Ma che novità siete voi venuto a recarci?
Polidoro. La novità è questa. Don Egidio vostro padre, il castellano della fortezza assediata, ha esposto bandiera bianca, per volersi arrendere e capitolare; ma vuol pretendere tutti gli onori militari possibili: vuol bandiere spiegate, tamburo1 battente, carri coperti e cento altre cose, e il nostro generale non gliene vuole accordar nessuna; e non se ne farà altro, e si tornerà a battere la fortezza, e si darà l’assalto alla piazza, e si prenderà a discrezione, e si darà il saccheggio, e si darà il saccheggio. (con allegria)
Florida. Ah don Faustino, tornerete voi a lasciarmi? Tornerete voi al cimento? Vi esporrete di nuovo all’azzardo d’infierire contro il povero mio genitore?
Faustino. Donna Florida, non so che dire. Voi conoscete il mio cuore: noti vi sono i miei sentimenti. Approvaste voi stessa, e virtù chiamaste il modo mio di pensare; vogliono i fatti, che l’onor mio non esiga il sagrifizio della mia passione.
Florida. Eccomi nuovamente precipitata nel cupo seno delle sventure.
Faustino. Deh non vi affliggete cotanto, e non cercate d’indebolire la mia costanza.
Polidoro. Signor alfiere.
Faustino. Che cosa volete? (a don Polidoro, con alterezza)
Polidoro. Perdoni. È vero che Marte e Venere sono stati amici; ma si ncordi bene che Marte fu colto in rete, e gli si fecero le fischiate.
- ↑ Nel testo, qui e sempre, è stampato tamburro.