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LA GUERRA 383

Conte. All’assalto, all’assalto. (corre ela saltarido)

Citillo. All’assalto, all’assalto. (saltando colla sedia)

Ferdinando. Al cimento. (parte)

Faustino. Alla gloria. (parte)

Cirillo. Ehi, favoritemi le mie stampelle. (ad Aspasia)

Aspasia. Eh via, don Cirillo. Voi siete esente dalle fatiche. Riposatevi, che ne avete bisogno.

Cirillo. Datemi le mie stampelle. (con sdegno)

Aspasia. Non vi voglio dar niente. (parte)

Cirillo. Maladettissima. Sì, voglio andare al fuoco, al cimento, alle cannonate. (saltando colla sedia, e parte)

SCENA V.

Altra camera nella casa suddetta.

Polidoro solo.

Poh! gran bella cosa è la guerra! Io ne dirò sempre bene, e non vi è pericolo che mi esca un voto dal cuore per desiderare la pace. Direbbe alcuno, se mi sentisse, tu prieghi pel tuo mestiere, come la moglie di quel carnefice pregava il cielo che si aumentassero le faccende di suo marito. E bene, chi è colui nel mondo che non desideri, prima d’ogni altra cosa, il proprio vantaggio? Le liti danno da vivere agli avvocati, le malattie ai medici, e chi è quel medico, o quell’avvocato, che vorrebbe tutti gli uomini sani, e tutte le famiglie tranquille? Se non vi fossero guerre, non vi sarebbero commissari di guerra, e chi è colui, che potendo mettere da parte centomila scudi in quattro o in cinque anni di guerra, volesse per carità verso il prossimo desiderare la pace? Esclamano contro la guerra coloro che vedono desolare le loro campagne, non quelli che per provvedere l’armata vendono a caro prezzo il loro grano ed il loro vino. Si lamentano della guerra i mercanti, che soffrono il danno dell’interrotto commercio; non quelli che servono al bisogno delle milizie, e guadagnano sui generi, o sul