Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1913, XVII.djvu/395


LA GUERRA 381

SCENA III.

Don Cirillo e detti.

Cirillo. Allegri, compagni, allegri. Abbiamo fatto tre piedi e mezzo di breccia. (con allegria saltando)

Conte. Come si può sapere, se appena è giorno?

Cirillo. È giorno, è giorno (saltando); in campagna si vede chiaro. Sono stato io fra le batterie. Ho livellato io due cannoni, e ho imboccato un pezzo d’artiglieria del nemico. Oh che bel colpo, oh che bel colpo!

Aspasia. E non avete paura che una cannonata vi porti via l’altra gamba?

Cirillo. Che importa a me della gamba? Per il gusto d’imboccar un cannone darei dieci gambe, se ancor le avessi. Animo, che si sa qui? non si gioca?

Fabio. Abbiamo giocato finora.

Conte. Ed io ho perduto l’osso del collo.

Cirillo. E don Ferdinando?

Conte. Ha bevuto.

Cirillo. Bravo; e don Faustino?

Conte. Ha fatto all’amore.

Cirillo. Bravissimo. Così mi piace; impiegar il tempo in cose allegre, in cose gioconde. Amici, da qui ad un’ora, o due al più, vi tocca montar la guardia alle batterie. I nemici si difendono da disperati. Hanno fatto una sortita da diavoli. Noi li abbiamo respinti, ma ci è costato la perdita di trenta uomini. Gran fuoco ho veduto fare dagli assediati! non ho mai più veduto un fuoco simile. Lo vedrete, lo proverete anche voi. Ma fino che vien quell’ora, divertiamoci, stiamo allegri.

Conte. Sì, stiamo allegri; beviamo.

Ferdinando. Beviamo pure.

Cirillo. Beviamo.

Faustino. Allegramente, beviamo.

Ferdinando. Con licenza della padrona di casa. (ad Aspasia)