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LA GUERRA 375


hanno da esser preziose. Felice voi, che godete la grazia della figliuola.

Aspasia. Che cosa vorreste dire per ciò?

Conte. Voleva dire...

Fabio. Tenente, è fatto il taglio. (al Conte)

Conte. Eccomi. (finisce di bevere, poi corre al tavolino) Sette per dieci zecchini.

Faustino. Ma voi, donna Fionda, mi volete far disperare. Questa è forse l’ultima volta che ci vediamo, e voi con sì poca carità mi trattate?

Florida. Oh cieli! mio padre è il comandante di quella piazza che voi battete. Sorpreso il borgo dalle vostre armi, sono rimasta io prigioniera; è incerto il destino dell’armi, potete perir voi, che tant’amo; può perire il mio genitore che adoro, e mi vorreste ilare e disinvolta? e pretendereste che vi parlassi d’amore?

Faustino. Vi compatisco, ma io sono di animo intollerante. Permettetemi almeno che divertir mi possa col gioco.

Florida. Sì, ingrato. Fatelo a mio dispetto.

Faustino. No, cara, non v’inquietate, non parlerò mai più di giocare.

Conte. Maladetto il sette. Va il sette.

Aspasia. Il Conte perde. (a Ferdinando)

Ferdinando. Perde il meschino, ed io spero di guadagnare moltissimo.

Aspasia. E che sperate di vincere?

Ferdinando. Il vostro cuore.

Aspasia. Mi fate ridere.

Ferdinando. E voi ridete.

Aspasia. Non pensate alla guerra?

Ferdinando. Alla guerra ci pensa il mio generale. Noi subalterni abbiamo da obbedire, non da pensare. Chi non è al campo, non è in pericolo, e tanto vale esser lungi dal campo dugento miglia, quanto dugento passi. Sono ora tranquillo in questa camera, come s’io fossi in luogo dove non si parla di guerra.