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GL'INNAMORATI | 29 |
Roberto. Certamente, me ne diletto assaissimo.
Fabrizio. Eh, gli uomini grandi, gli uomini di talento sublime, come quello del signor Conte, non possono fare a meno di non intendersi d’ogni cosa. Vedrà nella mia miserabile casa, nel povero mio tugurio, nella mia capannuccia, dei tesori, in materia di quadri, delle cose stupende. Cose che non le ha il Re di Francia. Originali dei primi maestri dell’arte. Signore nipoti, conducete questo cavaliere a vedere la mia miserabile galleria. Fategli vedere quel quadro maraviglioso, quell’opera insigne del pittor de’ pittori. Vedrà, signor Cavaliere, un quadro spaventosissimo del Tiziani1, di cui mi hanno offerto due mila doppie, ed io l’ho avuto per cento zecchini! Che dice eh? per cento zecchini un quadro che vale due mila doppie. Cosa vuol dire intendersi delle cose. Oh, io poi per conoscere non la cedo ai primi conoscitori del mondo.
Eugenia. (Poveri danari gettati! Ha tutte copie, e gliele fanno pagar per originali).
Roberto. Si vede, che siete assai di buon gusto; avrò occasion d’ammirare.
Fabrizio. Eh picciole cose. Compatirà la miseria. Ehi, fategli vedere quei quattro pezzi stupendi del Wandich2, quelle due cene singolarissime insigni del Veronese, quella meraviglia del Quercino, quell’aurora inimitabile di Michel’Angelo Buonarotti3, quella notte inestimabile del Correggio. Tesori, signor Conte, tesori.
Roberto. Voi, a quel che sento, avete una galleria da monarca.
Fabrizio. Picciole cosarelle da poveruomo. Si serva, favorisca di andare colle mie nipoti.
Flamminia. Ma noi non ce n’intendiamo di quadri, e non li sapremo distinguere come voi... (a Fabrizio)
Fabrizio. Che serve? Se non ve n’intendete voi, se ne intende il signor Cavaliere. Ho un affare per ora, che mi trattiene. Servitelo intanto, che poi verrò io pure, e gli farò vedere di quelle cose che non avrà mai vedute.