Conte. A voi bastan trecento?
Tonina. Oh che caro sior Conte! Me piase el complimento.
Perchè de prima donna le mie rason ho cesse,
Se vol pregiudicarme anca in tel interesse.
Voggio la paga istessa.
Conte. Ehi signora Tognina,
Li trecento zecchini li prenderà l’Annina.
Tonina. Sia maledetto! almanco lassème che me sfoga.
Conte. Volete o non volete?
Tonina. Bisognerà che i toga.
Conte. Brava, così mi piace. Due sono accomodate. (ad Alì)
Alì. Terza non vorrà star. (al Conte)
Conte. Eh via, non ci pensate.
Son da voi, signorina. (ad Annina)
Annina. Me za so al mi destin,
A far l’ultima part, e per dusent zechin.1
Conte. Questo è il posto e la paga che a voi vien destinata.
Vi piace o non vi piace?
Annina. Cosa volel che diga:
Za ved apertament, ch’è inutil la fadiga,
A farò quel ch’al vol.
Conte. Sentite? Si contenta. (ad Alì)
Per la sua compiacenza, siano dugento e trenta.
Annina. Grazie alla so buntà.
Lucrezia. Vo’ anch’io l’accrescimento.
Tonina. Anca mi voggio i trenta, a zonta dei tresento.
Lucrezia. È giusto, e li vogliamo.
Tonina. Se no, faremo el diavolo.
Conte. Fate quel che volete, ei non vi cresce un pavolo.
Ecco qui le scritture, son belle e preparate;
Se volete, firmatele, se non vi piace, andate.
Lucrezia. Strillar per trenta ruspi alfin non mette conto,
Noi faccio pel danaro, mi scaldo per l’affronto.
- ↑ L’edizione Savioli aggiunge: È la verità.