Ghe passerò la parte. Compagno qualcossetta.
E éla?
Lucrezia. Qualche poco.
Tonina. Oh, la sarà perfetta.
Xela soprana?
Lucrezia. Certo.
Tonina. Brava. L’arriverà
Fina al gesoreut.
Lucrezia. Anche un poco più in là.
Tonina. Mo caspita, dasseno, me ne consolo assae.
Cara siora Lugrezia, semo ben compagnae.
Mi son un’ignorante, no son de quelle brave.
Ma gh’ho nella mia ose1 tre bellissime ottave.
Lucrezia. Oh quanto mi consolo della di lei virtù!
Una compagna simile non vo’ lasciar mai più.
Conte. (Io le ascolto, e le godo, che le conosco a fondo.
Donne di lor più accorte non ho veduto al mondo).
Tonina. La diga, ala osservà dal Turco stamattina
Quella zovene granda?
Lucrezia. E chi è?
Tonina. La Mistocchina.
Lucrezia. Che vuol dir mistocchina?
Tonina. Vol dir, al suo paese,
Fugazza de castagne fatta alla bolognese.
I gh’ha dà un sovranome, che ghe convien da amiga.
No la sa, poverazza, che diavolo la diga.
Xe più de dodes’anni che la imparà a cantar,
E, da quella che son, no la sa solfeggiar.
No la unisse la ose, no la intona una nota.
La va fora de tempo, la siga2 e la barbota,
La magna le parole, la tien i denti stretti,
La fa cento sberleffi, la gh’ha mille difetti.
Conte. (Ora principia il buono della conversazione;
Par che sia necessario la sua mormorazione).
- ↑ Voce.
- ↑ Sigar, gridare.