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Se poi non le volete nel vostro appartamento.

Grazie vi renderanno d’un sì bel complimento.
Lucrezia. Vengano pur, mi basta che siate voi presente.
Che alcuna non ardisca di far l’impertinente.
Poichè se mi verranno a proverbiare in faccia,
Saprò, se la mi monta, render pan per focaccia.
Conte. No, staranno in cervello; dove son io, lo sanno
Che non vi è da trescare, e il bell’umor non fanno.
Con esse ho già parlato, e quando verran qua,
Tratteranno con voi con tutta civiltà.
Lucrezia. Con chi mi tratta bene, bene so anch’io trattare.
Non han le Fiorentine bisogno d’imparare;
Anzi, se vengon eglino in questo appartamento,
Necessario è di fare un qualche trattamento.
Conte. Eh, non preme.
Lucrezia.   Non dico di fare all’impazzata.
Ma un poco di caffè o un po’ di cioccolata.
Conte. Credetemi, è superfluo.
Lucrezia.   Si usa al paese mio;
Un poco di rinfresco lo farò portar io.
Conte. No, toccherebbe a me, se ciò far si dovesse.
Lucrezia. Fatelo dunque voi.
Conte.   Lo farei, se occorresse.
Ma non verran da voi per far conversazione;
Trattandosi d’affari sarebbe affettazione.
Ecco la Veneziana. Fatele buona ciera;
Meglio assai d’un rinfresco val la buona maniera.

SCENA II.

Tonina e detti.

Tonina. Patrona riverita.

Lucrezia.   Serva sua divotissima.
Tonina. Stala ben? Me consola, che la ciera è bonissima.
Lucrezia. Sto ben per obbedirla. Ed ella come sta?