Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1913, XVII.djvu/338

326
La gente a prima vista vi piace di frezzare.

Avete nel pretendere un po’ di superbietta;
Siete per tutto questo virtuosa perfetta.
Lucrezia. Voi mi mettete in frega, per dirvi salmissia
Di quelle parolaccie ch’usano in Lombardia.
Conte. Ditele francamente, con giubilo le attendo;
Per donna che strapazzano, credete, io non m’offendo.
Anzi quanto direte maggior bestialità,
Mi crescerà il concetto di vostra abilità.
Lucrezia. Siete un bell’arcolaio.
Conte.   Spiegatelo in volgare.
Lucrezia. Siete una buona testa.
Conte.   È ver, così mi pare.
Lucrezia. Lasciam le fanfaluche, e favelliam sul sodo.
Sarò io prima donna?
Conte.   Sì, vel prometto.
Lucrezia.   E il modo?
Conte. Dopo che voi partiste, col Turco ho favellato;
Lo trovai per più capi moltissimo agitato.
Nibbio con imprudenza gli feo scaldar la mente,
Guidandogli dinanzi un diavolo di gente.
Studiai di serenarlo, e m’impegnai con esso,
Per lui, che non sa niente, d’interessarmi io stesso.
Nel stato in cui si trova, gli sembra aver trovato
Un aiuto dal cielo in suo favor mandato.
A me si raccomanda. Conosce il mio talento,
E d’essere gli diedi da voi l’appuntamento.
Lucrezia. Verrà qui questa sera?
Conte.   Venir mi diè parola.
Lucrezia. Almeno avrò il piacere di favellargli io sola.
Conte. Ma verran qui pur anche l’Annina e la Tognina.
Lucrezia. In casa mia verranno? (con sdegno)
Conte.   No, cara Lucrezzina.
Non dite in casa vostra; noi siamo alla locanda;
Non negasi l’ingresso a ognun che lo domanda.