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Se ha piacer di sentirvi, cantar vi sentirà.

E, quando noi saremo presso alla conclusione,
Voi vedrete l’effetto della mia protezione.
Maccario. (Protezion quanta vogliono, ma cioccolata oibò).
Conte. L’acqua non la bevete? (a Tonina)
Tonina.   Sì, sì, la beverò.
Donca el marcante Turco vegnirà qua da mi?
Conte. Se il pregherò, son certo ch’ei mi dirà di sì.
Annina. E a cà mi i vegniaral?
Conte.   Se Tonina il consente,
Qui potete aspettarlo voi pur unitamente.
Annina. Mo sgnour no, l’am perdona, mi an n’ho che far con li;
Se al Turc em voi sintir, al vignirà a cà mi.
Ai ho, per grazia dal cil, una cà da puvretta,
Ch’ai pol vegnir un prencip, ai ho la mi spinetta,
E ai sarà, quand’al vein, la mama e mi fradel,
E an me vuoi far sintir in cà de quest e quel.
M’al capì?
Conte.   Vi ho capito.
Annina.   Cosa disel?
Conte.   Io dico,
Fate quel che volete, non me ne importa un fico.
Annina. Oh, bella grazia!
Tonina.   In fatti da mi el ghe vegnirà.
Maccario. Signor, mi raccomando alla vostra bontà.
Conte. Sì, caro il mio poeta, per voi mi impiegherò;
Ma un buon avvertimento per vostro ben vi do.
Se per fare un libretto le scene altrui rubate,
Quelle che non son vostre, almeno postillate.
Carluccio. No, caro signor Conte, se i versi fosser mille,
Almeno a novecento vi sarian le postille.
Conte. Bravo. Questa mi piace. L’iperbole vi è dentro,
Ma pur l’allegoria va a battere nel centro.
Maccario. Per me lascio che dicano quello che voglion dire.