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GL'INNAMORATI 23

Flamminia. Oh, io non posso vedere a penar nessuno.

Eugenia. Con questi uomini non bisogna poi essere tanto corrive; e non è sempre ben fatto far loro conoscere, che si amano tanto.

Flamminia. Io non l’ho mai usata questa politica, e non la saprei usare.

Eugenia. Scrivetegli voi per me.

Flamminia. Volete che lo faccia davvero?

Eugenia. Sì, fatelo, che mi farete piacere, lo ci metto assai tempo a scrivere; voi scrivete meglio, e più presto.

Flamminia. Avvertite, ch’io voglio scrivere a modo mio.

Eugenia. Sì, scrivete come vi pare.

Flamminia. Voglio scrivere per placarlo, e non per irritarlo di più.

Eugenia. Credete ch’io abbia piacere di disgustarlo? Signora no. Fate anzi una bella lettera che lo consoli, il mio caro coruccio bello.

Flamminia. In nome vostro.

Eugenia. In nome mio: ci s’intende.

Flamminia. Aspettate, quel giovane, che or ora vengo colla risposta. (a Tognino)

Tognino. Dove vuole ch’io posi questo canestro?

Flamminia. Date qui, date qui. Guardate, Eugenia, che belle frutta! Sa che vi piacciono, e ve le manda. In vece di star sulle sue, vi manda le frutta. Un uomo come questo, non lo trovate più. Io so, che se avessi un amante simile, lo vorrei propriamente adorare. (parte coi frutti)

SCENA III.

Eugenia e Tognino.

Eugenia. A che ora è venuto a casa ieri sera il vostro padrone?

Tognino. È venuto prima del solito. Non erano ancor sonate le due.

Eugenia. Che ha detto sua cognata, quando l’ha veduto venir così presto?