Pasqualino. Io pur, voi lo sapete, se nel cantar son abile.
Carluccio. Sì, sì, non mi scontento. Siete un tenor passabile.
Pasqualino. Passabile soltanto?
Carluccio. Per far la sua carriera
Cantare è necessario con un della mia sfera.
Ma però del mio merito non se ne trovan più.
Io vinco i più provetti nel fior di gioventù.
Pasqualino. Basta; se voi volete unirvi in compagnia...
Carluccio. Sì! ma al doppio degl’altri vogl’io la parte mia.
Pasqualino. Per qual ragion?
Carluccio. Per quella ragion chiara ed aperta,
Che dee darsi mai sempre più lucro a chi più merta.
Pasqualino. Voi meritate assai, se è ver ciò che vantate;
Dunque miglior ventura a procacciarvi andate.
Carluccio. Orsù, non son mai stato avido di danari.
Canterò come gli altri, profitterem del pari.
E per farvi vedere ch’io non parlai con arte,
Per duecento zecchini vi vendo la mia parte.
Pasqualino. Siete assai liberale, ma io sarei contento,
Se per la parte mia me ne toccasser cento.
Carluccio. Nasca quel che sa nascere, per questo io non m’imbroglio,
Ma vogl’io far le scritte, e comandar io voglio.
Pasqualino. Bene; ma di tai cose colui ch’è incaricato.
Deve sborsar, se occorre, denaro anticipato.
Carluccio. Quattrini a me non mancano. Saprò, se è necessario,
Pagare innanzi tratto l’orchestra ed il vestiario.
Ma voglio esser chiamato il capo dell’impresa,
E s’ha quel ch’io comando da far senza contesa.
Pasqualino. Se oltre della fatica, rischiate il capitale,
Tutti noi vi diremo il nostro principale.
Io che sono il tenore, son pronto a venerarvi,
E di voi prevalendomi, principio a incomodarvi:
Per fare i stivaletti, per fare il guardinfante,
Per gioje, penne et cetera, bisogno ho di contante.