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250 | ATTO QUARTO |
Lucrezia. Lasciamo le fanfaluche da parte, e favelliamo sul sodo. Sarò io la prima donna?
Lasca. Sì, ve lo prometto.
Lucrezia. E con qual fondamento?
Lasca. Dopo che voi partiste dal Turco, sono andato da lui. L’ho trovato in un’agitazione grandissima. Nibio, con imprudenza, gli aveva fatto scaldar la testa, guidandogli un esercito di mangiapani. Studiai di rasserenarlo, m’impegnai d’interessarmi per lui, e nello stato in cui si trova, gli pare d’aver trovato in me un aiuto del cielo. Si fida di me, mi si raccomanda, ed aderendo a’ miei consigli ed alle mie premure, mi ha dato parola, che verrà qui da voi questa sera.
Lucrezia. Verrà da me il Turco? (con piacere)
Lasca. Me l’ha promesso, e l’aspetto.
Lucrezia. Almeno avrò il piacere di parlargli io sola, senza la presenza incomoda di quelle due impertinenti.
Lasca. Ma deggio dirvi, che anche la signora Annina e la signora Tognina verranno qui istessamente.
Lucrezia. Come! verranno in casa mia? (con isdegno)
Lasca. No, cara signora Lucrezia, non dite in casa vostra. Noi siamo in una locanda. Qui tutti possono liberamente venire. Se poi non volete che vengano nella vostra camera, Beltrame le ne darà un’altra, e voi allora...
Lucrezia. No, no, vengano pure se vogliono; mi basta che voi ci siate, e che non ardiscano in camera mia di fare le saccenti.
Lasca. Vi assicuro che staranno in cervello. Mi conoscono, e sanno che dove sono io, non si fa il bell’umore. Ho già loro parlato, e quando verranno, le vedrete trattarvi con tutta la possibile civiltà.
Lucrezia. Con chi tratta bene meco, so corrispondere con egual politezza; anzi penso, che se vengono nella mia camera, sarà necessario di far loro un picciolo trattamento.
Lasca. Eh, questo non preme.
Lucrezia. Non dico di far gran cose, ma un poco di caffè, un poco di cioccolata, si usa al paese mio.