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L'IMPRESARIO DELLE SMIRNE | 243 |
ch’ella vuol fare alla nostra musica, volendola portare di là dal mare. Amo la mia professione, e venero e stimo quelle persone che possono e che cercano d’illustrarla.
Tognina. (Parla come un libro stampato), (ironicamente a Pasqualino)
Annina. (Che signora compita!) (da sè, ironicamente)
Pasqualino. (Osservate come il Turco la guarda attentamente). (piano a Tognina)
Alì. (Bella fisonomia! bel discorso!) Favorir di seder, (a Lucrezia,) accennando il canapè.
Lucrezia. Se comanda così.... (siede nel mezzo)
Tognina. Anch’io vuò seder. (siede presso Lucrezia, alla dritta, dove volea seder Alì.)
Alì. (Passa dall’altra parte, e vuol sedere, ma Annina gli prende il posto.)
Annina. Io non vo’ star in piedi. (siede)
Alì. Donne! Donne! Aver rispetto per donne.
Pasqualino. Sedete qui, signore. (gli offre la sua sedia)
Alì. No, no, star avvezzo Turchia sentar sofà, o cuscini. Star in piedi, e sopportar volentieri graziosa inciviltà di bellezza.
Lucrezia. Non è dovere, se il padrone sta in piedi, che facciasi con lui la conversazione sedendo. Queste signore, ch’io non ho l’onor di conoscere, saranno dame o cittadine di rango, onde per fare il mio dovere, m’alzerò io la prima. (Credo che siano dame come son io, ma conosco i Turchi, e voglio vincerlo di cortesia).
Tognina. (Fa da vomitare con queste sue affettazioni).
Annina. (Dica pur quel che vuole, io sto ben dove sono).
Alì. Vostro nome? (a Lucrezia)
Lucrezia. Lucrezia per obbedirla.
Alì. Star musica?
Lucrezia. Sì, signor, per servirla.
Alì. Star profession medesima tutte queste persone.
Lucrezia. Umilissima serva di queste signore. (a Tognina e ad Annina) Riverente m’inchino. (a Pasqualino) Come! par che ognuno mi sdegni? Han ragione, signore; senza merito alcuno, scono-