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216 ATTO PRIMO

Nibio. Sappiate dunque, che un Turco, negoziante famosissimo delle Smirne, è venuto in Venezia con una sua nave, per ispacciare le sue mercanzie. Alcuni amici suoi, non so se per ozio, o per qualche interesse, gli hanno fitto nel capo, che sarebbe un buonissimo affare, se conducesse alle Smirne una compagnia di virtuosi e di virtuose, per fare un’opera in musica in quel paese. Gli hanno fatto osservare, che in quel porto vasto e mercantile vi è una quantità prodigiosa di Francesi, d’Inglesi, d’Italiani e Spagnuoli, che là non vi è alcun pubblico divertimento, e che questa novità farebbe del merito ad un uomo di spirito come lui, e potrebbe far la fortuna di qualche suo dipendente, se egli non si degnasse di appropriarsi l’utile immenso, che produrrebbe una tale impresa. Il Turco, che è galantuomo, che non è avaro, e che è un po’ capriccioso, aderì al consiglio, e si è messo nell’intrapresa; ma egli non ha alcuna conoscenza di questi affari. Gli amici suoi hanno promesso di assisterlo, ed io ho avuto l’incombenza di provvedere i musici e le virtuose. Credo certamente, che i primi che anderanno in quei paesi, porteranno via de’ bauli pieni di zecchini, ed io, per il rispetto che ho per il signor Conte, vengo a far la prima proposizione a questa signora, per la quale ei professa della parzialità e della stima.

Lucrezia. (Ah, questo sarebbe per me il miglior negozio del mondo).

Lasca. Caro signor Nibio, vi ringrazio infinitamente. Vedete, signora, se vale qualche cosa la mia amicizia?

Lucrezia. Avrò a voi tutta l’obbligazione. (Oh sì, di parole mi par generoso).

Lasca. Sollecitate, signor Nibio; il tempo è pericoloso. Se avete l’autorità di far la scrittura, accordiamo il prezzo, e fatela immediatamente.

Nibio. È vero che l’impresario, in grazia degli amici suoi, si fida di me; ma voglio ch’egli la senta, prima ch’io la fermi, acciò non dica un giorno, ch’io l’ho gabbato. Non ha conoscenza di musica, ma voglio che sia contento.