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214 | ATTO PRIMO |
Lasca. Via dunque, se così è, fatemi il piacer di cantar qualche cosarella, niente per altro che per sentir la vostra voce.
Lucrezia. Scusi, non posso, sono fresca dal viaggio, e son moltissimo raffreddata.
Lasca. Bravissima. Anche questa me l’aspettava. Il raffreddore è la solita scusa.
Lucrezia. No, davvero. S’ella mi farà l’onore di venire da me, vedrà ch’io sono sincera e compiacente, e il mio debole è qualche volta di esserlo anche troppo: quando una persona ha della bontà per me, mi creda, signore, so essere riconoscente, (con qualche affettazione di tenerezza)
Lasca. (Ho capito. È giovane, ma sa il mestiere). ed io vi assicuro, signora, che di me potrete fare tutto quel che vorrete. Son buon amico, e quando m’impegno, non manco.
Lucrezia. Favorisca. Avrebbe ella per le mani un buon parrucchiere per assettarmi il capo?
Lasca. Oh, di questi non ne conosco nessuno. Io mi faccio assettar dal mio cameriere.
Lucrezia. E non mi potrebbe favorir del suo cameriere?
Lasca. Non è buono per assettare le donne.
Lucrezia. Signore, e un calzolaio....
Lasca. Oh, per il calzolaio potrete dirlo al locandiere, che so che ne ha uno, che serve la sua locanda, ed è buonissimo, ma non so dove stia, nè come si chiami.
Lucrezia. (A quel che vedo, ci ho dato dentro.)
Lasca. (Con me non c’è niente da fare.)
SCENA IX.
Nibio e detti.
Nibio. Riverente m’inchino alla signora Lucrezia. Servo del signor Conte.
Lucrezia. Quest’uomo chi è? Come mi conosce? (al Conte)
Lasca. Questi è il signor Nibio, galantuomo provato e sperimentato, gran conoscitor di teatri, sensale famoso di virtuosi e di virtuose.