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208 ATTO PRIMO

Carluccio. Orsù, per questa volta voglio cantar per niente: che me ne diano cento.

Lasca. È inutile il parlarne.

Carluccio. Ma! che me ne diano ottanta.

Lasca. Volete che ve la dica? Mi avete un poco seccato.

Carluccio. Signor Conte, le preme veramente quest’impresario?

Lasca. Sì, è mio amico, vorrei servirlo, ma lo faccio più per voi...

Carluccio. Non occorr’altro. Quando si tratta di far piacere al signor Conte, accetterò i cinquanta zecchini, ma voglio per onore una scrittura simulata di cinquecento, e la mallevadoria di un banchiere.

Lasca. Bene, la scrittura, per contentare la vostra albagia, si farà come volete; e per la paga rispondo io.

Carluccio. Non si potrebbe avere qualche danaro a conto?

Lasca. Scriverò all’impresario.

Carluccio. Non potrebbe ella favorirmi?

Lasca. Non son io quel che paga.

Carluccio. Mi presti almeno sei zecchini....

Lasca. Deggio andar in un luogo.... ne parleremo.

Carluccio. Se mi fa questa grazia....

Lasca. Sì, sì, ci rivedremo. (parte)

SCENA IV.

Carluccio solo.

Che caro signor Conte! Ricusa di darmi sei zecchini in prestito? Teme ch’io non glieli renda, come se sei zecchini fossero una gran somma. Quando io ne ho, li spendo in una merenda. È vero che ho de’ debiti, ma li pagherò, o non li pagherò; anch’io, come dice il proverbio, col tempo e colla paglia maturerò. Se vado in Portogallo, se vado in Russia, porterò via de’ tesori, e tornerò ricchissimo, e farò fabbricar de’ palazzi, e non saranno castelli in aria, ma palazzi in terra, grandi e magnifici, con possessioni stupende, qualche contea, qualche marchesato, ricchezze immense, e che venga allora il signor conte Lasca a offerirmi una recita di cinquanta zecchini.