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204 | ATTO PRIMO |
Lasca. Lo conosco, è un giovane che ha qualche abilità, ma impertinente all’eccesso. Io lo proteggo, perchè, se vuole, può divenir qualche cosa di buono. Ma per renderlo un po’ ragionevole, non vi è altro rimedio, che quello di trattarlo grossamente, e umiliarlo. L’ho mandato a Genova il carnovale passato, e credo che quegl’impresari, attese le sue impertinenze, abbiano avuto poco motivo di ringraziarmi. E la donna chi è?
Beltrame. La donna è la signora Lucrezia Giuggioli fiorentina, detta l’Acquacedrataia.
Lasca. Acquacedrataia? Che diavolo vuol dire acquacedrataia?
Beltrame. Non sa ella, che in Firenze i caffettieri si chiamano acquacedratai? Sarà probabilmente figlia di uno di tal professione.
Lasca. Sarà così; è brava?
Beltrame. Non lo so, signore. Non l’ho sentita.
Lasca. È bella almeno?
Beltrame. Non c’è male.
Lasca. È stata più in Venezia?
Beltrame. Credo di no.
Lasca. Si potrebbe farle una visita?
Beltrame. Ella sta lì in quella camera, ma è troppo di buon’ora.
Lasca. Dorme arcora?
Beltrame. Ho sentito che è desta, ma vi vorran due ore innanzi che sia in stato di ricever visite.
Lasca. Vorrà lisciarsi.
Beltrame. Senza dubbio. Può essere, che s’ella la vedesse ora, da qui a due o tre ore non la riconoscerebbe più.
Lasca. Bene. Verrò più al tardi. Fatele intanto l’imbasciata, ditele che un cavaliere desidera riverirla.
Beltrame. Venga pure liberamente. Le dirò in confidenza: mi ha fatto l’onore di dirmi, ch’io procurassi di farle fare la conoscenza di qualche signore. Ella può venire ad offerirle la sua protezione.
Lasca. Della protezione ne avrà da me quanta ne vuole. Ma se credesse di piluccarmi, s’inganna. Pratico le virtuose, le assisto, procuro i loro vantaggi, ma del mio non ne mangiano.