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onore; allora è che la passione di Bonfii cangia aspetto, e allora altresì De Marini cangia stile; si vede allora in lui l’innamorato non della sola bellezza di Pamela; ma più ancora della sua virtù; egli non dice una parola, non move un gesto che non ci avvisi di questo mutamento del suo animo. A renderci care le due Pamele, conferirono anche la giovane Bettini, che riesce pur bene nelle parli che diconsi ingenue, la Fabbrichesi che è sempre facile, disinvolta, spontanea, e il Belisario che ci è piaciuto ogni qual volta l’abbiam veduto a sostenere il personaggio dell’étourdi».

Ma la Pamela maritata non trovò grazia soltanto presso il critico della Gazzetta privilegiata di Venezia. Il tipografo Bettoni l’aveva accettata fra le prime nella Scelta di commedie goldoniane che stampò a Padova nel 1811; l’accettò il Cameroni fra i Capolavori del Nostro editi a Trieste nel 1858. Il moralista Schedoni esclamo con entusiasmo: «Ella è una Commedia perfetta. Non vi ha uno scherzo indecente» (Principii morali del teatro ecc., Modena, 1828, pp. 51-52). Invece Ferdin. Meneghezzi è costretto a «entrare in gran parte nella sentenza del formidabile Aristarco. Questa seconda Pamela è assai lontana dallo uguagliare la prima, vuoi per caratteri, vuoi per condotta, vuoi per maneggio d’affetti... Veggiamo infatti che l’edifizio della P. m. è gittato su falsi fondamenti e che la gelosia [di Bonfil] non può nascere da più frivoli nè da più irragionevoli motivi» (Della vita e delle opere di C. G, Milano, 1827, pag. 84). Aggiunge che la sc. 13 dell’ultimo atto «potrebb’essere una delle più belle e interessanti di tutta l’azione» se il «pennello» fosse stato più delicato e Pamela meno «puerile». — Fra gli scrittori recenti non è a tener conto di Guardione e di Phillimore che nelle loro storie letterarie lodarono questa commedia forse a caso, nè di Vittorio Ferrari che regalò al Goldoni una terza Pamela. Cadde nello stesso abbaglio Ferd. Galanti (C. G., Padova, 1882, p. 210), il quale chiamò la P. m. «lavoro bello per intelligenti osservazioni, per finezza di moralità» (p. 247). Attilio Momigliano, acutissimo indagatore dell’arte goldoniana, confessa che qui «si sente a quando a quando un ristagno». «Eppure», egli giudica. «non è delle peggiori commedie serie del Goldoni». Anzi sembra che ammiri «quel Bonfil... che ha veramente la febbre inquisitoria della gelosia» (Il mondo poetico di G., in Italia moderna, 17 marzo 1907, pp. 478 e 482); quel Bonfil «veramente roso dalla gelosia e quasi interamente serio» (La comicità e l’ilarità del G., in Giorn. stor. lett. it., vol. LXI, 1913, p. 215). A considerazioni d’altra natura ci porta Maria Ortiz, la quale osserva che le due prime «commedie a seguito» composte dal Goldoni, dopo la Putta onorata e la Buona moglie, furono le tre Persiane. Venne poi la P. m.; più tardi «la trilogia della Villeggiatura e quella di Zelinda e Lindoro» (Commedie esotiche del G., Napoli, 1905, p. 49 sgg.). Il Goldoni non ricordava che il solo esempio di Corneille, ma l’esempio suo, dopo la Buona moglie, era stato seguito con accanimento, diremo così, dall’ab. Chiari, nei tre Orfani, nelle due Marianne, nelle due Contadine incivilite ecc.

Quanto alla tela della Pamela maritata, non è vero che il Goldoni la togliesse dagli «ultimi due volumi della celebre raccolta richardsoniana», come afferma G. Bertoni (Modena a C. G., Modena, 1907, p. 411): questa volta l’autore veneziano, pure avendo cercato di serbare intatti i principali caratteri