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Corsini); la troviamo, nella prima metà dell’Ottocento, in quelli della Compagnia Reale Sarda (1822: v. Costetti, La Comp. R. S. ecc., Milano, 1893, p. 21) e della compagnia Fabbrichesi (I Teatri, giorn. dramm., Milano, I, 1827-28, p. 668). Vi si distinsero due grandi attrici, Carlotta Marchionni e Amalia Bettini (v. Rasi). Fu anche accolta dai filodrammatici di Milano (1822: G. Martinazzi, Accad.ia de’ Filo-dramm.i di Mil., Milano. 1879). — Di una recita delle due Pamele a Venezia nel dicembre del 1826, nel teatro di S. Gio. Grisostomo, da parte della comp. Fabbrichesi, di cui erano attori principali il De Marini, il Vestri e la giovane Bettini, non posso fare a meno di riferire per intero dalla Gazzetta privilegiata (n. 295, 16 die.) la cronaca (che facilmente s’indovina dettata da Tommaso Locatelli), sebbene della seconda Pamela nessun commento vi si contenga in particolare:

«Sia lodato il cielo, che dopo tante ribalderie, tradotte, tradite, ridotte dal francese, dal tedesco, dall’inglese, il signor Fabbrichesi ci ha dato finalmente due Commedie del nostro Goldoni. Ne la scelta poteva essere migliore, perchè le due Pamele di quel grande scrittore ci sembrano due delle più forbite e più appassionate Commedie che siano mai uscite dalla feconda sua penna: l’azione vi è condotta con semplicità, senza quei complicati accidenti, che accusano più l’arte che la natura; il sale vi è sparso con sobrietà, quanto basta a rallegrare l’uditore, senza che gliene nasca fastidio; i caratteri sono pieni di verità, e mirabilmente sostenuti, senza dare nell’esagerato; l’affetto poi vi domina da cima a fondo e smentisce le stolide accuse di coloro, che dicono che il G. non sa far piangere; noi abbiamo veduto in parecchi luoghi, specialmente della Pamela nubile, non pochi degli uditori, anche del sesso più forte, col fazzoletto agli occhi, per asciugar le lagrime da cui eran bagnati; e questa ci pare la più trionfale risposta che possa mai farsi a quegl’indiscreti censori. Il De Marini, che faceva il personaggio di Bonfil, se ci è paruto sempre grande, in questo ci parve grandissimo. Noi lo abbiamo osservato ed ascoltato con la più scrupolosa attenzione, abbiamo notato ogni suo gesto, ogni suo passo, ogni suo movimento, in somma non ne abbiamo perduto neppure una sillaba; e frutto di questa nostra attenzione si fu l’esserci sempre più raffermati in quella nostra opinione, che il De Marini è l’attore per eccellenza, e che merita che tutti gli altri il piglino per modello. Una cosa fra le altre abbiam notato, alla quale non so quanti avranno posto mente; e questa è di aver fatto conoscere ne’ suoi movimenti, ne’ suoi gesti, in tutto il suo contegno i varii gradi, o, se così vogliansi chiamarli, i vani aspetti di quell’amore, da cui è acceso lord Bonfil. Imperciocchè è ben vero, che questi sin dalle prime linee della rappresentazione si vede innamorato di Pamela; ma è vero altresì che sulle prime questo amore o non è onesto, o per lo meno è sospetto; si vede in lui un signore, che ama una povera giovane che ha in casa, ma che l’ama forse per illeciti fini; e questo è appunto quel sentimento che con decenza sì, ma con verità, esprime il nostro De Marini nelle prime scene. Poco era per esempio ch’ei nel principio, per entrare in grazia a Pamela, le donasse un anello; ci voleva quel grazioso e maliziosetto allungar del dito onde toccarle la mano, per isvelare tutto il mistero di quel dono. Ma quando la virtuosa Pamela oppone al poco regolare affetto del suo signore le più generose ripulse, e che mostra bensì di amarlo, ma di amar via più il proprio