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andato in scena il secondo dramma giocoso dell’Avvocato Goldoni intitolato La buona figliuola; nel Teatro de’ Signori Capranica la seconda Commedia del suddetto Avvocato Goldoni La Pamela maritata» n. 6645, del 9 febbr. 1760) rallegravasi l’autore nella lettera di dedica del Medico Olandese al principe Aless. Ruspoli, in data 12 luglio 1760 (st. nel t. VI dell’ed. Pitteri: v. vol. XIV della presente ed). Come fosse inedita, l’offerse il Goldoni ai suoi lettori nel primo tomo della famosa edizione Pasquali, che uscì nell’estate del 1761; e di qui la cavò l’anno dopo certo sig. Carlo Giorgi, il quale presiedeva alla stamperia Santini di Livorno, e la ripubblicò con una dedica alla signora Maria Armano Buonfigli.
Già per opera di «due altri scrittori» ben due commedie col titolo di Pamela maritata avevano fatto seguito alla Pamela goldoniana, come ricorda nella prefazione il dottor veneziano. L’una certamente dell’ab. Chiari, composta e recitata in prosa nel 1753, rifatta e stampata in verso martellano nel 1759 (v. vol. V della presente ed., p. 105); dell’altra nulla sappiamo, non potendosi affermare che il Cerlone facesse rappresentare prima del ’60 le due Pamele. Certo peccò di pietosa indulgenza il Goldoni, da poco riconciliato con l’abate bresciano, quando le chiamò «bellissime tutte due». Il Chiari, amante del romanzesco, turbando l’agnizione introdotta nella commedia dal dottor veneziano, fa credere a milord Bonfil di essere stato ingannato circa la nobiltà di Pamela, e lo fa imbestialire contro la virtuosa moglie e contro il figlioletto, finchè milord Artur riesce a scoprire l’impostura di un mentito conte d’Auspingh (G. Sommi Picenardi, Un rivale del Gold., Milano 1902, pp. 25-26; G. Ortolani, Settecento, pp. 477-8). Il Cerlone con fantasia più bizzarra trasforma la fanciulla puritana di Richardson in una eroina cattolica; e perchè Pamela abbandoni ancora la capanna del padre Andreuve, bisogna che milord Artur induca l’amico Bonfil ad abbracciare la fede della chiesa romana.
Goldoni più saviamente tentò un’altra volta, dopo la Donna forte (1758-1759), il dramma della gelosia (lontano era il ricordo della Dama prudente e del Geloso avaro). Rendere geloso Bonfil non era diffìcile, fargli un po’ per volta dubitare di milord Artur, non era impossibile: ma l’autore trattò l’argomento per compiacere altrui, non per sua scelta; lo trattò, come cento volte gli accadde, senza che la voce dell’arte lo invitasse a creare, obbedendo alla facilità e all’abilità di cui la natura e il lungo esercizio gli avevano fatto dono. La vita manca nei personaggi e nel dramma; e l’artificio è troppo evidente. Ebbe dunque ragione il Baretti di frustare la Pamela maritata (Frusta letteraria, n. 22, 15 ag. 1764); non già di menare i colpi a caso. Il Goldoni ha ben altrimenti peccato davanti al tribunale dell’arte che di qualche inverosimiglianza negli episodi, di qualche affettazione nel linguaggio e di una perfetta ignoranza de costumi inglesi. A malgrado di tali colpe la Pamela poteva riuscire un capolavoro: e il Baretti trasmoda qui, come il solito, nel suo odio invidioso contro il Goldoni e contro il Voltaire, sebbene dimostri una strana indulgenza per la lettera di dedica dell’umile commediografo veneziano al dittatore della letteratura francese: «Questa dedicatoria, considerata come una semplice scrittura, è certamente la meno cattiva delle tante che il Goldoni ha scritte».