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170 ATTO TERZO


l’importante affare, che felicemente si è consumato. Ordinate che s’introduca.

Bonfil. Dov’è mio suocero1?

Pamela. Dov’è mio padre2?

SCENA ULTIMA.

Il Conte d’Auspingh e detti.

Conte. Eccomi, cara figlia, eccomi, adorato mio genero.

Pamela. Oh tenerezza estrema! E quando3 mai sarò perfettamente contenta? Quando mai vi vedrò libero, senza il timore che vi accompagna?

Conte. Signore, non le partecipaste l’arcano? (a Majer)

Majer. No; diteglielo da voi medesimo. (al Conte)

Conte. Sì, figlia, mosso a pietà il ministro dell’età mia avanzata, de’ miei passati disastri, e del mio presente dolore, superò i riguardi, e fecemi compitamente la grazia.

Pamela. Oh Dio! a tante gioie non so resistere4.

Bonfil. Oh giorno per me felice!

Conte. Ringraziamo il cielo di tanta consolazione.

Pamela. Ah sì, se fui contenta il giorno delle fortunate mie nozze, oggi sono più che mai consolata per la libertà di mio padre e per la quiete dell’animo ricuperata. Un gran bene non si acquista per solito senza traversie, senza affanni. La provvidenza talvolta mette i cuori a cimento per esperimentare la loro costanza, ma somministra gli aiuti alla tolleranza, e non lascia di ricompensare la virtù, l’innocenza e la sommissione.

Fine della Commedia.


  1. Nell’ed. cit. la didascalia aggiunge: verso la scena.
  2. Nell’ed. cit. la didascalia aggiunge: come sopra, quali ricevono il Conte.
  3. Ed. cit.: Ma quando ecc.
  4. Il seguito della presente scena, com’è nell’ed. di Roma, vedasi nell’Appendice.