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168 | ATTO TERZO |
assicurano della loro assistenza. I tribunali mi accertano della loro giustizia; deh mi consoli il mio caro sposo col primo amore, col liberale perdono, colla sua generosa pietà.
Bonfil. (Resta ammutolito, coprendosi il volto colle mani, e mostrando dell’agitazione.)
Ernold. (Questa perorazione è cosa degna del mio taccuino). (tira fuori il taccuino, e ci scrive sopra)
Miledi. (Pagherei cento doppie a non mi ci esser trovata).
Jevre. (Se non si persuade, è peggio di un cane).
Majer. Signore, non dite niente? non siete ancor persuaso? (a Bonfil)
Bonfil. Ah! sono fuor di me stesso. Troppe immagini in una sola volta mi si affollano in mente. L’amore, la compassione1, m’intenerisce, (accennando Pamela) L’ira contro questi importuni mi accende, (accennando miledi Daure ed il Cavaliere) La presenza di Artur mi mortifica, e mi fa arrossire: ma oimè, quel che più mi agita, e mi confonde, e non mi fa sentir il piacere estremo della mia contentezza, è, cara sposa, il rimorso di avervi offesa, di avervi a torto perseguitata, e ingiustamente afflitta. No, l’ingrata mia diffidenza non merita l’amor vostro. Quanto siete voi innocente, altrettanto son io colpevole. Non merito da voi perdono, e non ardisco di domandarvelo.
Pamela. Oh Dio; consorte2, non parlate così, che mi fate morire. Scordatevi per carità dei vostri sospetti; io non mi ricorderò più delle mie afflizioni. Uno sguardo pietoso, un tenero abbraccio che voi mi diate, compensa tutte le pene sofferte, tutti gli spasimi che ho tollerati.
Bonfil. Ah sì, venite fra le mie braccia. Deh compatitemi3. (stringendola al seno)
Pamela. Deh amatemi. (piangendo)
Longman. E chi può far a meno di piangere4?
Majer. Milord, vi pare che il processo sia terminato?
Bonfil. Ah sì, ringraziate per me il reale ministro.