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166 | ATTO TERZO |
Majer. Nelle vostre espressioni si riconosce il veleno; tutti questi sospetti non istabiliscono un principio di semiprova. (a Miledì)
Bonfil. Ve ne darò una io, se lo permettete, che basterà per convincere quella disleale. Compiacetevi di leggere questo foglio. (a Majer)
Majer. (Prende la lettera, e legge piano.)
Miledi. (Mi pare che quel ministro sia inclinato assai per Pamela). (piano ad Ernold)
Ernold. (Eh niente; ha che fare con me, ha che far1 con un viaggiatore). (piano a Miledi)
Majer. Miledi, in questo foglio si rinchiudono dei forti argomenti contro di voi. (a Pamela)
Pamela. Spero non sarà difficile2 lo scioglimento.
Majer. E chi può farlo?
Pamela. Io medesima, se il permettete.
Majer. Ecco l’accusa; difendetevi, se potete farlo, (dà il foglio a Pamela)
Pamela. Signore, vagliami la vostra autorità per poter parlare senza esser da veruno interrotta.
Majer. Lo comando a tutti in nome del reale ministro.
Miledi. (Pigliamoci questa seccatura).
Ernold. (Già non farà niente).
Pamela. Signore, a tutti è nota la mia fortuna. Si sa che di una povera serva son diventata padrona, che di rustica ch’io era creduta, si è scoperta nobile la mia condizione, e che Milord, che mi amava, è divenuto il mio caro sposo. Si sa altresì, che quanto la mia creduta viltà eccitava in altri il dispetto, eccitò altrettanto la mia fortuna l’invidia; e che l’odio giuratomi da miledi Daure non si è che nascosto sotto le ceneri, per iscoppiare a tempo più crudelmente. Il Cavaliere, che m’insultò3 da fanciulla, non ebbe riguardo a perseguitarmi da maritata. Avrei avuto la sua amicizia, se avessi condesceso alle scioccherie; la mia serietà lo ha sdegnato, ed il mal costume