Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
154 | ATTO TERZO |
SCENA VII.
Miledi Daure e il Cavaliere Ernold.
Miledi. Lo sentite l’uomo bestiale?
Ernold. Che cosa dite voi di pistola?
Miledi. Credete ch’io non lo sappia quel che è seguito in giardino?
Ernold. Male. Mi dispiace infinitamente che lo sappiate.
Miledi. Che male è ch’io lo sappia?
Ernold. Cara Miledi, siete prudente, ma siete donna.
Miledi. E che vorreste dire perciò?
Ernold. Che non potrete tacere.
Miledi. Questo è un torto, che voi mi fate. Son nata Inglese.
Ernold. Non pretendo pregiudicarvi. Conosco la debolezza del sesso. Poco più, poco meno, le donne sono le medesime da per tutto. Io, che ho viaggiato, le ho trovate simili in ogni clima.
SCENA VIII.
Madama Jevre e detti.
Jevre. Signori, per carità, movetevi a compassione di questa povera mia padrona. Ella è in uno stato veramente da far pietà. Il marito non la vuol vedere; il padre è andato non si sa dove; non ha un parente, non ha un amico che la consigli, che la soccorra. Vede in pericolo la riputazione; teme per la vita del suo genitore; piange la perdita del caro sposo. Sa di non esser rea, e non ha il modo di giustificare la sua innocenza. Io non so come viva; non so come possa resistere a tante disgrazie. Io mi sento per lei talmente afflitta e angustiata, che propriamente mi manca il respiro, e quando la vedo, e quando ci penso, mi crepa il cuore, e non posso trattenere le lagrime. (piangendo)
Ernold. Per dire la verità, mi sento muovere anch’io1, quando vedo una donna a piangere, mi sento subito intenerire. (si asciuga)
- ↑ Ed. Pasquali: mi sento a movere anch’io. L’ed. cit. aggiunge: a pietà.