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138 ATTO SECONDO

Pamela. Andate voi da mio padre. Sappiatemi dire, se ha penetrato nulla di questo mio novello travaglio.

Jevre. Sì, signora, restate qui, e prego il cielo che vi consoli. (parte)

SCENA V.1

Miledi Pamela, poi Milord Artur.

Pamela. È grande veramente il bene che ho conseguito dal cielo, e conviene ch’io me lo meriti colla sofferenza. Ma in due cose son io colpita, che interessano troppo la mia tenerezza. Il padre e lo sposo sono i due cari oggetti dell’amor mio, e sono al punto di perder uno, e di essere abbandonata dall’altro. Ah, nata son per penare, e non so quando avran termine i miei martori.

Artur. Miledi. (salutandola)

Pamela. Voi qui, signore? non sapete i disordini di questa casa?

Artur. Non vi rechi pena la mia presenza; son qui venuto per ordine di Milord vostro sposo.

Pamela. Compatitemi, s’io mi ritiro; non vorrei che mi ritrovasse con voi. (in atto di partire)

Artur. Accomodatevi; come vi aggrada.

Pamela. Milord, avete novità alcuna in proposito di mio padre?

Artur. Ho un biglietto del segretario di stato. (accostandosi un poco)

Pamela. Ci dà buone speranze?

Artur. Mi pare equivoco; non l’intendo bene.

Pamela. Oh cieli! lasciatemi un po’ vedere.2

Artur. Volentieri. (caccia di tasca un biglietto)

Pamela. Presto presto, Milord.

Artur. Eccolo qui. Madama. (nell'atto che dà il viglietto a Pamela, esce milord Bonfil, ed insospettisce.)3 (I) (2) (3)

  1. Il principio di questa scena, come si legge nell’ed. cit. di Roma, vedasi in Appendice (sc. VIII).
  2. Ed. cit.: lasciatemelo.
  3. L’ed. cit. aggiunge: e pone mano alla spada.