Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1913, XVII.djvu/147


PAMELA MARITATA 137


cerca d’illuminarmi, avrà forza per animarmi. Ho amata Pamela, perchè mi parve degna d’amore; saprò abborrirla, quando lo meriti. Ero disposto a sposarla, quando la credevo una serva. Avrò il coraggio di ripudiarla, benchè riconosciuta per dama. Sì, la buona filosofia m’insegna, che chi non sa vincere la passione, non merita di esser uomo, e che si acquista lo stesso merito amando la virtù, e detestando la scelleraggine1. (parte)

SCENA IV.

Miledi Pamela e madama Jevre.

Jevre. Poc’anzi il padrone era qui. Potrà essere poco lontano. Trattenetevi, che lo andrò a ricercare.

Pamela. No, no, fermatevi. Dovreste conoscerlo meglio di me. Guai a chi lo importuna soverchiamente. Desidero di vederlo, desidero di parlargli, ma vo’aspettare, per farlo, un momento opportuno. Il cielo vede la mia innocenza ed i suoi falsi sospetti; mi vergogno a dovermi giustificare; pure l’umiltà non è mai soverchia, ed un marito, che mi ha a tal segno beneficata, merita che, innocente ancora, mi getti a’ suoi piedi a supplicarlo, perchè mi ascolti.

Jevre. Non so che dire; s’io fossi nel caso vostro, non sarei così buona; ma forse farei peggio di voi, e può darsi che colla dolcezza vi riesca d’illuminarlo.

Pamela. Chi sa mai, se mio padre abbia penetrato niente di questo fatto?

Jevre. Non l’ho veduto, signora, e non ve lo saprei dire.

Pamela. Voglio andar ad assicurarmene.2 (in atto di partire)

Jevre. No, trattenetevi, non trascurate di vedere Milord, prima ch’egli esca di casa.

  1. Nella cit. ed. di Roma segue qui una scena tra Bonfil e il servo Falloppa, che l’autore soppresse: vedasi Appendice, a. II, sc. IV.
  2. La scena poi così segue nella cit. ed.: «Ieure. Non volete attendere che ritorni Milord vostro sposo? Pamela. Ci verrò, quando sarà egli tornato. Ieure. Aspettate un momento. Chi è di là?» Seguono poi altre scene tra il servo e dette, tra il servo e milord Arlur, coi numeri VI e VII, come si vede nell’Appendice.