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136 ATTO SECONDO

Jevre. Con voi non si può più vivere.

Bonfil. Io non vi prego, perchè restiate.

Jevre. Se fosse viva la vostra povera madre!...

Bonfil. Vorrei che fosse viva mia madre, e che foste crepata voi.

Jevre. Obbligatissima alle di lei grazie.

Bonfil. Sciocca.

Jevre. È insoffribile.

Bonfil. Andate.

Jevre. Sì, vado. (Ci scommetto che ora è pentito d’aver sposata Pamela. Fanno così questi uomini. Fin che sono amanti, oimei, pianti, sospiri, disperazioni; quando sono mariti, diventano diavoli, basilischi1. (da sè, e parte)

SCENA III.

Milord Bonfil solo.

Non sarebbe cosa fuor di natura2, che Jevre tenesse più dalla parte di Pamela, che dalla mia. Le donne hanno fra di loro un interesse comune, quando trattasi di mantenersi in concetto presso di noi. Oltre di ciò, Jevre ha sempre amato Pamela; e se meco è attaccata per interesse, lo sarà molto più seco lei per amore. Tutto ciò mi fa diffidar di costei e diffidando di Jevre, posso dubitare ancor di Pamela. Se esamino la condotta ch’ella ha tenuto meco, non dovrei crederla menzognera, ma le donne hanno l’abilità di saper fìngere perfettamente. Potrei lusingarmi, che riconoscendosi nata di nobil sangue, si trovasse in maggior impegno di coltivare le massime dell’onestà e del contegno; ma posso anche temere ch’ella abbia perduta quella soggezione, che le inspirava la sua creduta viltà, e che la scienza del proprio essere l’invanisca a segno di superare i rimorsi, e non abbia per me quella gratitudine, che a’ miei benefizi si converrebbe. Questi miei argomenti sono per mia disgrazia sulla ragione fondati; ma quella stessa ragione, che

  1. L’ed. cit. aggiunge: Uhi ingratacci!
  2. Ed. cit.: fuor di proposito.