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L'AUTORE
A CHI LEGGE1.
ROVANDOMI in Roma nell’anno 17582, sperimentai in me medesimo una peripezia non indegna di essere riportata, perchè può servire d’esempio a chi si espone al pubblico, ed è soggetto alle varie vicende della Fortuna. Fui chiamato colà in quell’illustre Metropoli per assistere io stesso alla rappresentazione delle opere mie, che da molti anni, senza di me, si rappresentavano con fortuna. Fu scelto il Teatro di Tordinona, il più grande fra i molti destinati alle azioni Comiche. Il Cavaliere, che avea preso sopra di se medesimo tutto l’impegno per tale impresa, non mancò di contribuire alla buona riuscita, con attenzione e generoso dispendio, ma con tutto ciò, andò la cosa pessimamente; niuna delle opere ebbe l’onor di piacere, e mi convenne soffrire vederle precipitate sugli occhi miei. Pure (non avend’io il carico di crear cose nuove) scelsi quelle che avevano altrove felicemente incontrato, e faticai per ridurle migliori. Nulla valse per far del bene. Il Teatro vastissimo, più adattato ai grandiosi spettacoli, che alle famigliari Commedie, facea sperdere tutte le azioni più delicate e più semplici. La situazione medesima, lontana troppo dal Mondo colto, ed a portata soltanto di barcaiuoli, di carbonai di birri, faceva sì ch’ei s’empiesse di spettatori amanti del Pulcinella, e per conseguenza ignari della costumata Commedia. Gli Attori stessi, soliti a recitare o all’improvviso, o alla romanzesca, non aveano l’uso dei caratteri umani, sostenuti con verità e con natura. Le genti colte mi facean grazia di compatirmi, ma io contuttociò non avea ragione di contentarmi. Volle la buona ventura che nel Teatro Capranica si rappresentassero nel tempo stesso delle Commedie mie, già stampate, e che venissero colà a tal segno applaudite, che al