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la figlia mia onorata, - E fuor d’ogni pericolo del mondo, - Sul teatro ballar l’ho consigliata» I, 2: è dolorosa ironia) e ne vanta i rari pregi («Larga di spalle, e stretta di cintura»; «Fa gl’inchini, se vuol, ancor più bassi» 1, 3: è l’infamia). E le scene più comiche sono forse le due ultime, quando tutti si sposano davanti al notaro, e abbandonano l’un dopo l’altro monsieur Rigadon, che resta solo col suo violino. Ma come si vede, la Scuola di ballo non riesce inutile a chi vi cerca il pettegolezzo dei teatri nel Settecento: ascoltate quel che dice Ridolfo degli impresari (1, I), ascoltate i lamenti di madama Sciormand (11, 3), ascoltate a che giunga in Italia e fuori il furore per il ballo (III, 2 e fine sc. 1, a. V), ascoltate lo stesso Conte che cosa dica della commedia riformata del Goldoni, alla quale il pubblico veneziano, primo Carlo Gozzi, pareva preferire di nuovo le arguzie improvvise del Sacchi tornato dal Portogallo (II, 3).

Peccato che l’autore non riuscisse a fondere la materia in un’opera d’arte salda e brillante. Colpa anche della versificazione e del metro, che lo fecero scivolare nella pratica facilona del dramma giocoso per musica. Meglio ritentò più tardi la prova, in prosa, nell’Impresario delle Smirne. Quanto alla lingua poi, e allo stile, un giudizio benevolo, quale non si aspettava il Goldoni nel 1761, pronunciò di recente Isidoro Del Lungo in un suo applaudito discorso (Lingua e dialetto nelle commedie del G.); ed è giusto che si riferisca per intero, ponendosi qui fine alla presente Nota. — Dopo di aver lodato, forse più giustamente, la Pupilla, che «non scomparisce troppo dinanzi alle fiorentine cinquecentistiche», così seguita l’illustre scrittore: «E a un’altra. La scuola di ballo, - dove i martelliani sono mutati, questa volta, in altro metro, bensì rimato, anzi di più difficil rimatura e congegno, la terzina, non ignota essa pure alla commedia toscana del Cinquecento - a cotest’altra goldoniana, la mutazione mi sembra conferire sincerità di lingua e una certa leggiadria di stile. Dirò di più, che se, leggendo quelle terzine, si ripensa la prosa del Goldoni, vien fatto altresì di pensare al fenomeno non infrequente in tutte le età della nostra letteratura, dall’Ariosto al Monti e più oltre, che le virtù di lingua e di stile d’uno scrittore, e dico de’ maggiorenti, facciano miglior prova nella poesia che nella prosa; o diciam pure, che ad esse virtù la prosa offra difficoltà maggiori che non la poesia. Fenomeno inerente a un fatto etnico dell’idioma: che il linguaggio poetico, linguaggio della fantasia, nella nostra lingua più assai che in altre rilevato, accomunò l’Italia più agevolmente e più sollecitamente, che non il linguaggio di quella vita reale la quale fu, per tante cagioni e vicende, dissomigliante da regione a regione e discorde» (estr. dagli Atti della R. Accad. della Crusca, Firenze, 1912, pp. 28-29; e Patria italiana, Bologna, Zanichelli, 1912, IL 329-330).

G. O.


La Scuola di ballo fu stampata la prima volta nel 1792 a Venezia, nel t. III, classe 3.a, dell'ed. Zatta, ma con molte scorrezioni. Fu impressa di nuovo a Lucca, l’anno stesso, nel t. XXX dell’ed. Bonsignori e l’anno dopo a Livorno, nel t. XXIX dell’ed. Masi: poi più volte nell’Ottocento. - La presente ristampa seguì il testo dell’ed. Zatta: furono corretti alcuni errori, dov’era lecito.