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figura del padre Brighella, la famosa Olivetta (v. Nota storica di E. Maddalena, vol. VIII, p. 511). Anche il Chiari ci descrive nel t. II delte Lettere scelte (Ven., Pasinelli, 1750, pp. 93-95) il miserabile tugurio di una «giovine ballerina» trasformato «venti giorni appresso» in un palazzo ricco di stucchi di specchi di cristalli, popolato da staffieri da sarti da calzolai. Nel 1754 ci regalò un intero romanzo dal titolo La ballerina onorata, dove più fedele della stessa protagonista alla verità, se non alle leggi dell’onore, attrae l’attenzione madamigella Cilene. Nel precedente romanzo della Filosofessa italiana, e in altri posteriori (la Cantatrice per disgrazia, la Commediante in fortuna) troviamo accenni frequenti alla fortuna sfacciata della danza. «Ballerina son stata, e pur son putta. - Immagini chi può, quanto son brutta» lesse l’abate dietro un ritratto. E ancora nel 1770 nelle Commedie da camera (Ven., Battifoco, I, dial. 8), e ancora nel 1780 nei Trattenimenti dello spirito umano (Brescia, Berlendis, t. IV, 109 sgg.) continuò a lamentarsi senilmente e a protestare invano contro l’invadenza dei pantomimi. «Tutto è salti adesso, e salti mortali da fracassarsi le gambe».
Goldoni pure aveva da sfogar qualche lagno nella Scuola di ballo, e ne colse occasione a privata vendetta. «Io so quel che spiace a V. E. nella Sc. di b.» diceva al Vendrarain nella lettera 4 sett. ’59. «Io non l’ho scritto per spiacere a lei, ma a chi ha detto le stesse parole in pubblica Piazza. Mi dia la soddisfazione che l’impudente le legga, e poi son pronto a levarle. Ho rimarcato l’epoca del 1758» (1. c, 144). È probabile che il buon commediografo alludesse, come sospetta il Mantovani, a qualche maligno attore del teatro di S. Luca, ma il passo con la data del 1758 più non si trova nel testo a stampa. Resta tuttavia l’eco delle solite mormorazioni dei comici dell’arte contro la commedia scritta: «Reciterò, ma solo all’improvviso, - Dove il merito spicca, e la virtù»; mentre il Goldoni per bocca di Fabrizio ribatte: «Aiutan molto le opere studiate; - Ma il mal si è che costano danari» (a. III, sc. I), certamente ricordandosi degli artisti di S. Luca, i quali non volevano partecipare al pagamento della Donna forte proibita dal Magistrato alla bestemmia (l. c, 78 e 81).
Tristo figuro è il maestro Rigadon (v. C. Dejob, Les femmes dans la comédie etc. Paris, 1899, pp. 228-9), un ex-parrucchiere (a. I, sc. 4) che pretende di amoreggiare con tutte le alunne e da esse a ragione è ingannato; che vende le povere vittime (II, 2); che mentre acconsente a istruirle e a far loro le spese, le rende poi schiave, impegnando per sè nell’avvenire, con crudele usura, i loro guadagni sul teatro («Dunque la figlia mia può far contratto - Finchè vive ballar per il maestro - Senz’alcuna speranza di riscatto» I, 3); che cerca di frodare l’impresario (II, 2); che vuol mangiare la dote alla sorella (V, 2); che lucra sul protettore della fanciulla alla cui mano egli stesso aspira (I, 4 e II, 5). Ma gli scolari non sono molto migliori del maestro: svogliati (I, 1), inetti e falsi. La sorella è una folle, piena d’albagia, il sensale Ridolfo un imbroglione.
Svolgesi la commedia in una serie di scenette senza vita, di ritratti sbiaditi. A stento ci sorridono in questa mala società gli amori giovinetti di Filippino e Rosalba, di Carlino e Rosina. Il personaggio artisticamente più vivo è forse Lucrezia, che conduce al maestro la propria figlia da istruire («Per mantener