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502 | ATTO QUINTO |
SCENA VII.
Monsieur Rigadon col violino. Il Conte, Giuseppina e detti.
Quando è l’ora del ballo, qui si viene,
E non si sta col cavaliere errante. (a Giuseppina)
Conte. (Sofferirlo per poco ci conviene). (a Giuseppina)
Giuseppina. (A questo patto odierei la vita). (al Conte)
Conte. (Non dubitate, vi trarrò di pene).
(a Giuseppina, e siedono)
Rigadon. Dunque per prima a favorir s’invita
La signora Felicita, e vorrei (ironico)
Che tanto fosse brava, quanto è ardita.
(tocca il violino)
Felicita. Caro signor maestro, non saprei
Se il mio temperamento le dà noia.
Creda ch’io ne son sazia più di lei.
SCENA VIII.
Ridolfo, poi Madama.
È qui di fuori, burbero, accigliato.
Che batte i piedi e che il veleno ingoia;
E un notaro con seco si è menato
Di quei degli Otto, e dubito che siate
Per cagion di Felicita accusato.
Rigadon. Per carità, non mi precipitate:
Se siete dalla curia esaminata,
O bene, o mal, per carità ballate. (a Felicita)
Felicita. Ma se al ballo, signor, non son portata.
Rigadon. Fatelo all’onor mio per far riparo.
Madama. Signor fratello, vi sono obbligata.
Rigadon. Di che?