Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1913, XVI.djvu/502

496 ATTO QUINTO
Madama. Amore ed Imeneo son due fratelli.

Rigadon. Non vi fidate del fratel d’un stolto.
Madama. Come fia, che l’amor stolto s’appelli,
Se la natura ha destinato al mondo
Uomini a conservar belve ed augelli?
Rigadon. Brevemente all’obbietto io vi rispondo.
Serva chi vuole al dritto di natura;
Perchè abbiam noi da sofferir tal pondo?
Madama. O legger pondo! o amabile sciagura!
O soavi martiri! o dolci pene!
O catena d’amor lieve, e non dura!
Rigadon. Sorella mia, da ridere mi viene.
Siete assai romanzesca, e chi vi sente,
Ci dirà che siam pazzi da catene.
Madama. Del nostro ragionar che sa la gente?
Parlo fra voi e me; per darvi gusto.
Parlerò dunque più trivialmente.
Signor fratello mio, parvi sia giusto
Di pensare una volta a maritarmi?
Rigadon. Ve l’avete trovato il bell’imbusto?
Madama. Io ci ho da stare, ed io vo’ soddisfarmi.
Basta che non mi abbiate a contradire,
Se la mia dote pregovi di darmi.
Rigadon. L’umido e la stagion mi fe’ assordire.
Non intendo a suonar questa campana.
Madama. Tristo è quel sordo che non vuol sentire.
Rigadon. Siete giovane assai, cara germana;
Tempo non manca da soffrire i guai;
Un altro anno si dice alla beffana. (via)
Madama. Questa risposta me la figurai.
Se l’anno aspetto, che al fratel sia in grado,
Le mie calende non arrivan mai.
Fatt’ho quel che conviene al sesso e al grado;
Sola saprò col condottier Cupido
Nella valle d’amor passare il guado. (via)