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486 | ATTO QUARTO |
Ma mi fanno sperar cose maggiori.
Quello che disse a me questa mattina,
Quando finsi per lui lasciar la paga
Di mille rubli, fa veder che inclina
A starci meco, e che di me si appaga:
S’ella è così, lo vo’ provar di botto,
Finchè calda nel seno è ancor la piaga.
Eccolo, che ver me sen vien di trotto;
Nell’orecchie l’avea più che nel core;
Ma amor col tempo pagherà lo scotto.
SCENA IV.
Il Conte e detta.
Mi disse amor la troverei soletta.
Giuseppina. Lo starmi sola è il mio piacer maggiore.
Conte. Dunque la compagnia non vi diletta?
Giuseppina. Sì, ma non tutte.
Conte. La riserva approvo:
Sempre non dassi compagnia perfetta.
Or per esempio, che con voi mi trovo,
Piacerebbevi meglio di esser sola?
Giuseppina. Per me da voi questo parlar vien nuovo.
Merito forse, povera figliola.
Esser da voi mortificata a segno
Che mi tolga il respiro e la parola?
Conte. No, Giuseppina: non diss’io per sdegno;
Godo sentirmi replicar sovente
Che vi son caro, e non d’amore indegno.
Di questa mane mi ritorna in mente
Il sagrifizio che per me faceste:
Son cavaliere, e un cavalier non mente.
Deensi rimeritar le opere oneste: