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LA SCUOLA DI BALLO | 485 |
SCENA III.
Giuseppina e detti.
Che sì, che amore il tristarel v’impania?
Rosalba. Noi siam due quaglie nello stesso spiedo.
Filippino. Ambi ci ha colti l’amorosa smania.
Amor pietoso ci promette il frutto;
Ma temo vi si sparga la zizzania.
Giuseppina. E voi studiate prevenire il lutto:
Molte cose non fatte han suoi perigli;
Ma quando è fatto, si rimedia a tutto.
Finalmente non siam nepoti o figli
Di costui, che ci tiene al giogo stretti,
E possiam scapolar dai fieri artigli.
Rosalba. Sentite? (a Filippino)
Filippino. Superar voglio i rispetti.
Andiamo uniti a meditare il modo.
Liberi siamo, e non a lui soggetti. (via)
Rosalba. Così mi piace. Giuseppina, io godo.
Non vedo l’ora di saper chi sia
Questo dolce d’amor perpetuo nodo. (via)
Giuseppina. È diversa da lor la sorte mia;
Essi son nati per natura eguali:
Io mi lusingo entrare in signoria.
Il Conte è un cavalier de’ principali,
E i segni che mi dà d’affetto vero,
Sono segni patenti e modernali.
Alla prima, per dirla, avea in pensiero
Di tirare un po’ d’acqua al mio molino
Come fan tante di questo mestiero,
E poi scrivere il nome al tavolino
Nella lista di tanti protettori
Scordati affatto dal mio cervellino.
Ma capisco che i suoi non sono amori