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470 ATTO TERZO
E lo spirito vostro e l’esercizio

Vi farà prestamente andar innante.
Felicita. Per dir la verità, codesto uffizio
Non mi dispiacerebbe; ma ho timore
Di dovermi pentir del sagrifizio.
So che i comici son gente d’onore,
So che fanno un mestier che al mondo è grato,
So che vivon taluni con splendore,
Ma dopo che il mestier s’è rivoltato,
Dopo che un nuovo stil fu posto in scena,
V’è chi si lagna del mestier cangiato.
Ora un garzon sa compitare appena
Studia una parte, ed esaltar si sente,
E l’applaude l’udienza a voce piena,
Benchè dell’arte non ne sa niente.
Se lo prende un poeta a confettare1,
Presto mettesi a far l’impertinente.
E chi onor si faria, non sel può fare
Per causa del poeta parziale,
Che solo chi gli par vuol far spiccare.
Credere si potrebbe un uom venale,
Che distinguesse chi regala più;
Ma i comici non cascan di tal male.
La comica il mio genio ognora fu;
Reciterò, ma solo all’improvviso,
Dove il merito spicca, e la virtù.
Fabrizio. La medesma ragion anch’io ravviso.
Sono i geni però confusi e vari,
E il giudizio fra lor pende indeciso.
Sono i comici buoni al mondo rari,
Aiutan molto le opere studiate;
Ma il mal si è, che costano danari.
Se ai comici venisser regalate,

  1. Nell’ed. Zatta questo verso è chiuso fra parentesi.