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440 ATTO PRIMO
E non è giusto che di voi mi dolga?

Son tre anni, che sudo e mi affatico,
E non v’è dubbio, che un danar ricolga.
Ve l’ho detto più volte, e vel ridico:
Felicita, al mestier voi non badate;
E mi servite solo per intrico.
Felicita. Signor maestro, non vi riscaldate;
Se non faccio per voi, me n’anderò,
Ch’io non voglio soffrir queste seccate.
Rigadon. Sì, gioja mia, ve n’andereste, il so, (/)
Dopo che per tre anni v’ho insegnato;
La mia scrittura mantenere io vo’;
Voglio de’ miei sudori esser pagato;
Vo’ che andate1 in teatro, o male o bene;
E dovrete ballar, se avrete fiato.
Felicita. Oh in questo poi da ridere mi viene.
In teatro non vo, vi parlo chiaro.
Nè men se mi strascinan le catene.
Se disposta non son, se non imparo,
Non vo’ farmi burlar pubblicamente
Per compiacer ad un maestro avaro.
Rigadon. Fate il vostro dovere, impertinente;
O farò contro voi qualche ricorso,
E dovrete ballar forzatamente.
Felicita. Terminiamo, signor, questo discorso.
Ballerò, se vorrò. Se non vi piace,
Andate a farvi pettinar da un orso.
Rigadon. Così si parla, petulante audace?
(Ma questo è l’uso delle mie scolare,
E mi conviene sopportarlo in pace.
Oggi siam tanti, che chi vuol mangiare.
Navigare convien con la tempesta).
Filippino.

  1. Così il testo, nell’ed. Zatta.