Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1913, XVI.djvu/398

392 ATTO SECONDO
Brigida. Me burlala, signor?

Ottavio.   Dico la verità.
Lelio. Un amico sincero in me ritroverà,
Un servitor fidato, umile e rispettoso.
Ottavio. E se saprete fare, forse un tenero sposo. (a Brigida)
Brigida. (Come xela st’istoria?) (da sè)
Lelio.   Lo so che non son degno.
Ma ad incontrar son pronto ogni più grande impegno.
Ottavio sa chi sono.
Ottavio.   Certo, signora sì.
Lelio. (Possibil ch’io non trovi da maritarmi un dì!)
Brigida. Se el disesse dasseno?
Lelio.   Per me, non so mentire.
Ottavio. Lelio è un giovin di garbo; quel che è ver, si ha da dire.
È ricco, è senza padre, è amabile, è giocondo.
Brigida. (El sarave un negozio el più bel de sto mondo).

SCENA V.

Giacometto e detti.

Giacometto. Cossa feu qua, patroni? andemo, che i ne attende.

Ottavio. Cosa dite di Lelio? (accennando Brigida)
Giacometto.   Roba soa?
(ad Ottavio, accennando Lelio)
Ottavio.   Ci s’intende.
Giacometto. Bravo, compare Lelio. Anca mi scambieria
Cento e vinti compagni per sta tal compagnia.
Lelio. Lo sapete chi è?
Giacometto.   Mi no.
Lelio.   È una Contessa.
Giacometto. Dasseno?
Lelio.   Domandatelo, (a Giacometto, accennando Ottavio)
Ottavio. Posso attestar per essa.
Giacometto. Cossa favela qua sola senza nissun? (a Brigida)
Brigida. Oggio mo i mi interessi da dirli a un per un?

RI