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330 ATTO TERZO
Angiola.   Venne celatamente.

Marchese. Per qual fin? Con qual mezzo?
Angiola.   Nessuno seppe niente.
So che lo vidi io stessa entrare in queste soglie;
So che segretamente parlò con vostra moglie.
Stetter mezz’ora insieme, poi si partì confuso.
Guardandosi d’intorno qual chi tradire ha in uso.
Passai da mia cognata col turbamento in volto;
Veggola sostenuta, e minacciarmi ascolto.
Tutti segni veraci che ancor nel di lei cuore
Arde segretamente il suo primiero amore.
Marchese. Siam traditi, germana. Siam tutti due traditi;
Ma se n’andran, lo giuro, i traditor pentiti.
Vorrei veder Fabrizio, il camerier fidato.
Tutto saprà narrarmi quando ne sia informato.
Angiola. So ch’ei voleva al feudo venire a ritrovarvi;
Qualche cosa di grande Fabrizio ha da narrarvi.
Ei si trovò presente, mi pare, allora quando
S’udì vostra consorte gridar con don Fernando.
Marchese. Dunque è ver che Fernando anch’egli è qui venuto.
Angiola. Verissimo, signore, io stessa l’ho veduto.
Marchese. Fedelissimo amico, tu mi dicesti il vero;
Or riconosco il zelo del tuo parlar sincero.
Se a te commisi un torto scemandoti la fede,
Ora l’error comprendo, ed il mio cuor ti crede.
Angiola. A don Fernando ancora nota è la tresca indegna?
Marchese. Sì, l’amico i miei torti di vendicar s’impegna.
Angiola. Quale pensiere è il vostro in simile periglio?
Marchese. Non so; del fido amico accetterò il consiglio.
Lascierò di vedere per or la sposa infida.
Chi sa, s’io la rimiro, dove il furor mi guida?
La scellerata offesa sento nel cuore a segno,
Che contener nel seno più non poss’io lo sdegno.
Vo’ saper da Fabrizio quel che svelarmi ei vuole.
Fate che alcun mel guidi senza formar parole.