Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1913, XVI.djvu/323


LA DONNA FORTE 289
Prosdocimo.   Ma che vergogna è questa?

Non vi ha già domandato un occhio della testa.
Per un tenero sguardo si fa tanto rumore?
Se aveste a far con me, vorrei cavarvi il cuore.
Marchesa. Non siete sazi entrambi di tormentarmi ancora?
Fernando. No, abbandonar non voglio quel bel che m’innamora.
Se dell’onor vi cale, sia l’onor vostro illeso;
Non è il cuor d’un amante ad oltraggiarvi inteso.
Morte disciolga il nodo che vi ha al Marchese unito,
Libera ritornate, di voi sarò marito;
O se del vostro sposo vi vuole amor pietosa.
Non siate a me nemica, non siate a me ritrosa.
L’uno o l’altro partito eleggere potete;
Se i ricusate entrambi, dell’ira mia temete.
Sarò per cagion vostra pronto a qualunque eccesso.
Risolvete, Marchesa, in sul momento istesso.
Marchesa. Perfido, ho già risolto. Sono al mio sposo unita,
Serberò la mia fede a lui fin che avrò vita;
E tu, se ti cimenti, vedrai se ho cuore in petto...
Prosdocimo. Fuor delle nostre mani non fuggirà, al cospetto.
Se fosser cento donne, vorrei disfarle in brani,
Innanzi che potessero fuggir dalle mie mani.
O se fossero tigri, se fossero leonesse,
Cedere alla mia forza dovrebbero ancor esse.
Date a me la licenza di metterla a dovere,
E non son quel ch’io sono, se non la fo tacere.

SCENA X.

Fabrizio e detti.

Fabrizio. Quai rumori son questi?

Marchesa.   Ah Fabrizio carissimo.
Prosdocimo. (Mostra timore.)
Fernando. Ti perdi di coraggio? (a Prosdocimo)
Prosdocimo.   Servitore umilissimo. (parte)