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316 | ATTO SECONDO |
Ma quanto ha da costarmi il riacquistar la pace,
Se me l’usurpa ingrato un traditor mendace?
Deh, se credete al nume regolator del cielo,
Se l’onor conoscete e della fama il zelo,
Se umanità nudrite, se l’onestade amate,
Gl’insulti a un’infelice di procacciar cessate.
Fernando. Qual duro cor potrebbe resistere all’incanto
Di una beltà, cui rende ancor più vaga il pianto?
No, non son io sì crudo, che tormentarvi aspiri;
Basta che non si veggano scherniti i miei sospiri.
Vi sarò, lo protesto, amico e difensore,
Bastami che crudele non mi negate amore.
Marchesa. Anima scellerata, d’amor tu mi favelli?
Soffri che reo ti chiami, che traditor ti appelli.
A delirar cogli empi non è il mio core avvezzo.
La pace che m’involi, non compro a questo prezzo.
Usa, se puoi, l’inganno. Mirami a tuo dispetto.
Non paventar gl’insulti coll’innocenza in petto.
Fernando. Veggiam fin dove arriva di femmina l’ardire.
Voi dovrete, marchesa, o cedere, o morire.
Marchesa. Pria morir, che avvilirmi.
Fernando. Olà.
SCENA IX.
Prosdocimo e detti.
Marchesa. Che vuoi, ministro indegno di un seduttor malnato?
Prosdocimo. A me?
Fernando. Qui non vi è scampo; amor mi ha reso cieco.
Questo stile importuno pensate a cangiar meco.
Solo un sguardo amoroso tutto il mio sdegno ammorza,
E se l’amor non giova, dee prevaler la forza.
Marchesa. (Soccorretemi, o numi). (da sè)