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LA DONNA FORTE 289


Tosto ch’egli ritorna, sarete consolata,

E delle vostre nozze fisserem la giornata.
Angiola. Siete l’arbitra voi di questo dì fatale?
Marchesa. Perchè fatal chiamate il giorno nuziale?
So pur che di tal nodo vi chiamate contenta.
Angiola. Eh, la mia contentezza, per quel ch’io vedo, è spenta.
Marchesa. Per qual ragion? Del Conte potete voi lagnarvi?
Angiola. Non so che dir; se parlo, non vorrei disgustarvi.
Marchesa. Parlate pur.
Angiola.   Ch’ei mi ami, sperar non mi conviene;
S’ei viene in questa casa, certo per me non viene.
E se servire io deggio d’inutile pretesto,
Schernita esser non voglio, lo dico e lo protesto.
Marchesa. Voi parlate assai male, signora mia compita;
Compatisco l’amore che vi fa meco ardita.
È ver, venuto è il Conte a ragionar con me:
A voi non è bisogno, che dicasi il perchè.
Lo saprà mio marito. Perciò non mi confondo.
Ma ai rimproveri vostri con più ragion rispondo.
S’egli non vien per voi, se di servir pensate
D’inutile pretesto, dite, di che parlate?
Arrivereste forse, nel fabbricar lunari,
A offender indiscreta l’onor di una mia pari?
A chi servir credete d’inutile pretesto?
A una dama ben nata? a un cavaliere onesto?
Di voi mi maraviglio. Vi ho tollerato assai.
Tutto donarvi io posso, ma l’onor mio non mai.
Angiola. Troppo vi riscaldate. Di voi non ho sospetto.
Ma perchè viene il Conte di furto in questo tetto?
Marchesa. Di furto? Egli è venuto di giorno, apertamente.
Angiola. Viene da voi soltanto, e a me non dice niente?
Marchesa. Noto vi è che il Marchese non vuol che in queste porte
Venga a vedervi il Conte, pria di esservi consorte.
Angiola. Lo so che mio fratello su questo ha i dubbi suoi.
Ma se da me non viene, non dee venir da voi.