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274 | ATTO TERZO |
Silvestra. Incivile, malnato, no, non mi meritate; ed io per voi non ho mai avuto nè amore, nè stima. (al Conte) Lo facevo per compassione, perchè vi vedevo languire; ma il mio cuore, il mio affetto, era tutto rivolto a quest’amabile Cavalierino. (al Cavaliere)
Cavaliere. Vi ringrazio, signora, voi siete ricca, io son poveruomo. Non ho fondi bastanti per assicurare una dote di sessant’anni.
Silvestra. Povera gioventù strapazzata! (5i getta sopra una sedia, e resta melanconica coprendosi la faccia.)
Felicita. Nicolò.
Nicolò. Signora.
Felicita. Venite con me, che vi ho da parlare,
Nicolò. Sono a servirla.
Felicita. Sentite, (parla nell’orecchio a Costanza) Vi piace? Volete che lo facciamo?
Costanza. (A Felicita) Sì, facciamolo pure. Tenete questa chiave, aprite il guardaroba, ritroverete un qualche abito di mio padre.
Felicita. Andiamo, (a Nicolò, prendendo la chiave da Costanza, e parte)
Nicolò. Come comanda. (parte)
Luca. Mariuccia.
Mariuccia. Signore.
Luca. Mariuccia. Sei sorda?
Mariuccia. Così va detto. Son qui, cosa mi comanda? (forte)
Luca. Fammi un piacere, tornami a dir nell’orecchio tutto quello che hanno detto finora.
Mariuccia. Hanno detto ch’è tardi, che potete andare a dormire. (forte)
Luca. Perchè non va a dormir mia sorella, che ha tre anni più di me?
Silvestra. Bugiardo, non è vero niente. Sono nata tanti anni dopo di voi, che posso essere vostra figlia, e poi son forte, sana e robusta, e non ho i cancherini che avete voi. (a Luca)
Luca. Cosa ha detto?
Mariuccia. Non ho capito. (forte)
Luca. Uh, sorda!