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LE DONNE DI BUON UMORE 273


Cavaliere. Favorisca leggere questa carta. (forte)

Luca. (È sordo; vediamo che cosa c’è in questa carta). (51 mette gli occhiali, e legge)

Silvestra. (Ha da restar mio fratello, quando sente che io sono sposa). (t/a sè)

Luca. Brava! Me ne rallegro. (verso Costanza)

Costanza. Compatite.

Silvestra. Che cosa ha da compatire? Non sono io la padrona?

Luca. Il signor Conte. Bravo! (verso il Conte)

Conte. Se vi compiacete...

Luca. Che?

Conte. Se mi credete degno, ve la domando in isposa.

Luca. Come?

Conte. Ve la domando in isposa.

Luca. E parlasi con me a cose fatte? Meritereste, che vi dicessi un di no in faccia. (Ma questa figlia in casa non istà bene; già che vi è l’occasione, penso meglio di liberarmene; mi è nota la casa del Conte, benchè forastiere, so le sue fortune, e ho inteso essere un buon figliuolo; senz’altro l’incontro è fortunato, ed è bene concluder immediate l’affare). (da sè) Sì, vi darò la dote, ma non vo’ che si perda tempo, porgetele in questo punto la mano.

Conte. Ecco dunque, che pieno di giubilo e di contentezza, porgo alla mia cara sposa la destra. (Colla mano passa dinanzi a Sivestra, che crede la porga a lei, e la presenta a Costanza.)

Silvestra. Cosa fate?

Conte. Do la mano alla sposa.

Silvestra. E chi è la sposa?

Conte. La signora Costanza.

Costanza. Io, sì signora. Voi siete giovane, non mancarà1 tempo.

  1. Così l’ed. Zatta.