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266 ATTO TERZO


Silvestra. Ricusarlo? Anzi lo bramo, lo desidero, e non vedo l’ora di potergli porgere la destra.

Conte. Ringrazio la signora Costanza dei suoi sentimenti cortesi; e quando la fanciulla sia in questa buona disposizione, noi ci spicciaremo prestissimo.

Silvestra. Sentite? (al Cavaliere) Che tu sia benedetto, (al Conte)

SCENA X.

Mariuccia e detti.

Mariuccia. Signora, signora.

Costanza. Che cosa c’è?

Mariuccia. Il padrone ha chiamato. Ha detto che vuol mangiare, scende le scale, e dubito che venga qui.

Costanza. Non mi dicesti ch’egli dormiva?

Mariuccia. È vero, dormiva, e subito che si è svegliato, ha chiesto da mangiare.

Cavaliere. Buono, buono, lasciate che venga, che lo faremo sognare.

Silvestra. Cosa vuol questo vecchio? I vecchi con noi altri giovani non si confanno.

Costanza. Mio padre non si dolerà, che abbiamo fatta una cena, ma si lamenterà con ragione, che non lo abbiamo avvisato ancora lui. I vecchi in queste cose ci stanno, e mi dispiace infinitamente.

Conte. La cena è finita, ce ne possiamo andare in un’altra camera. (tutti s’alzano)

Costanza. Sì sì, ce ne anderemo nel mio appartamento. Mariuccia, fa preparare il caffè, e che ce lo portino quando è fatto.

Silvestra. Mi è tanto piaciuto il caffè che ho bevuto questa mattina; mandiamolo a pigliare alla bottega dell’Aquila. (Quel caffettiere è un giovine che mi dà nel genio). (da sè)

Costanza. Mandate all’Aquila un servitore; così lo averemo più presto. (a Mariuccia)

Cavaliere. E poi in Venezia il caffè delle botteghe par sempre migliore di quel che si beve nelle case