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LE DONNE DI BUON UMORE 265


Battistino. (Vi dico che sono tre ore che giro, e nessuno me l’ha saputo insegnare).

Felicita. (Volete che io ve lo insegni?)

Battistino. (Sì, fatemi questo piacere).

Felicita. (Eccolo lì, è quello). (accennando il Cavaliere)

Battistino. (Quello?)

Felicita. (Sì, quello).

Battistino. Ehi, signor Faloppa. (al Cavaliere)

Cavaliere. Dite a me?

Battistino. Sì, a voi, una parola in grazia.

Cavaliere. Volete che io vi faloppi le spalle con un bastone?

Battistino. Quella ragazza è mia, e voi lasciatela stare.

Dorotea. Povero sciocco! mia figlia non lo conosce nemmeno.

Pasquina. Si chiama dunque il signor cavaliere Faloppa? (tutti ridono)

Cavaliere. Mi chiamo il malannin che vi colga. (contrafacendola)

Felicita. Via, via, basta così. Non facciamo che uno scherzo partorisca disordini. Mi ho preso un poco di spasso per far delirar il signor Battistino.

Battistino. Cospetto! (battendo i piedi in terra) Sono di quelle cose che mi farebbero venir rabbia. Io non voglio essere burlato. (passa dinanzi alla tavola, e si porta vicino a Pasquino) Non sono giovane da burlare, e non voglio che mi facciano di queste cose. (Pasquina gli dà qualche cosa da mangiare) E lo diro al signor padre, che non voglio che nessuno mi burli. (parla, mangiando ciò che gli fu dato da Pasquina.)

Felicita. (Ma che bella caricatura!) (da sè)

Pasquina. Venite qui, sedete presso di me.

Dorotea. Siete più in collera?

Battistino. Eh, la bile mi va passando. (siede e mangia)

Costanza. Signora zia, ho letto i fogli che mi ha dato da leggere li signor Conte.

Silvestra. È così, che vi pare?

Costanza. Il Conte è di buona casa. I suoi beni sono assai sufficienti; il personale, per quel che si vede, è ottimo; dunque, s’egli dice davvero, la sposa che ei desidera non lo può ricusare.